“Ad Nòta” di Raffaello Baldini

di / 2 marzo 2013

La casa editrice Sugaman ha un sottotitolo e un ideale editoriale: «Libri elettronici, senza limitazioni». Sugaman è curata da Paolo Nori e Alessandro Bonino ed è interamente digitale, produce solo ebook, ai quali eliminano i DRM (i lucchetti digitali, per intenderci) per rendere il libro elettronico un oggetto vero e personale, lasciandosi dietro l’annoso dibattito col libro cartaceo.

Al piccolo ma brillante catalogo della casa editrice il 6 dicembre scorso è stata aggiunta la raccolta poetica Ad Nòta (Sugaman, 2012), del romagnolo Raffaello Baldini, narratore e poeta dialettale di Santarcangelo di Romagna. Proprio nel dialetto santarcangiolese è scritta Ad Nòta; quella di Sugaman è un’edizione in italiano e dialetto curatissima, quasi una sperimentazione tecnica semplice ma brillante per gli ebook reader: il passaggio dall’italiano al dialetto è possibile tramite un semplice link a fine versi. Chiude l’opera una postfazione di Giuseppe Bellosi sulla poesia e sulla lingua del Baldini.

L’essenza del dialetto, come il Baldini ben sapeva, è l’oralità: portò in giro per la Romagna i suoi componimenti in reading poetici, divertendosi e divertendo, dissimulando il carattere amaro e tragico dei suoi componimenti, divenuti talmente famosi da essere richiesti dal pubblico come le canzoni ai concerti.

Ad Nòta racchiude trentotto componimenti: trentacinque monologhi e tre racconti corali. La presenza della morte e dei morti, del ricordo, è costante; una visione pessimistica della vita salta all’occhio nel componimento finale, “La féila” (“La fila”), allegorico monologo ambientato in una fila che non si capisce da dove sia partita, dove stia andando, nella quale si dubita anche del fatto che si cammini, o che una volta arrivati (dove, poi?) ci sia davvero qualcosa ad aspettarci, «un bancone, un palco»; e in mezzo alla fila si litiga, ci si prende per i capelli, ci si agita. L’amore è un altro tema ricorrente, come nel dolce componimento “Murgantòuna” (“Mocciosa”) e, deluso, nella danza di “E’ bal” (“Il ballo”).

Ma com’è possibile che una lingua così radicata nella sua terra, intima e estranea ai più riesca a essere di tutti, a plasmare ed elevare la poesia? La lingua del Baldini, come dice lui stesso, è la lingua delle cose: il poeta nasce e conosce parlando in dialetto, e in dialetto ordina e ci spiega il mondo. E il mondo poetico del Baldini è composto da figure minute e goffe, vite normali della provincia; il linguaggio è piano, complice di una lirica che lascia spazio alla narrazione in un’epica sconclusionata e agrodolce dei nessuno – e quindi di tutti.

Nel 1995, presentando l’edizione mondadoriana di Ad Nòta, Pier Vincenzo Mengaldo scrisse che «se non restasse ancora vivo il pregiudizio pigro per il quale un poeta in dialetto è un “minore”, anche quando è maggiore, Raffaello Baldini sarebbe considerato da tutti quello che è, uno dei tre o quattro poeti più importanti d’Italia» e potrei davvero chiudere qui. Venuto a mancare nel 2005, Raffaello Baldini ha portato il suo verso leggero (in senso calviniano) e dialettale, quindi marginale, all’universalità della grande poesia.

 

(Raffaello Baldini, Ad Nòta, Sugaman, 2012, pp. 126, euro 2,50)

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