L’ultima volta

di / 11 aprile 2013

Ormai non provo neanche più a guardarmi allo specchio. È inutile. Non posso costringermi a farmi piacere quello che sono diventato. E soprattutto non posso farci niente. È da più di tre mesi ormai che vado avanti così. Prima pensavo di poterlo superare. Un problema come un altro, mi dicevo. Ora so che non è così. Giorno dopo giorno mi rendo conto che non posso uscirne. Prima di dormire, ogni giorno, faccio sempre la stessa promessa a me stesso. Prometto che non ci ricadrò. Prometto che stavolta ne sono fuori. Prometto che da domani si cambia. Poi mi sveglio e scopro che è ancora oggi, e che domani deve ancora venire. E ci ricasco. Questa è l’ultima volta, continuo a ripetermi.
Oggi però mi sento diverso. Mi è già successo di sentirmi così, ma stavolta potrebbe anche essere la volta buona. Ho già deciso: stasera non si beve.
Buffo… non è la prima volta che lo decido.
Comunque esco. Il vento è freddo, tanto che sembra tagliarmi pelle a ogni alito. Il cielo è nero, senza stelle. O forse ci sono. Io però non ne vedo. Sarà colpa dei lampioni… Cammino a passo svelto risalendo il viale dei negozi, che a quest’ora sono già chiusi. Qualcuno passa e mi guarda storto, ma non è certo una novità. Forse è perché ho addosso solo una giacca leggera, e il vento stasera è davvero gelido. Non importa. Non sono un tipo che soffre per il freddo.
Mi guardo un po’ intorno e annuso l’aria. Sento un odore familiare. Mi volto e vedo una morettina uscire da un pub affollato. Lei mi lancia un’occhiata obliqua. Io rispondo con lo stesso sguardo. Lei prosegue per la sua strada, e io rimango a fissare il pub e le sagome che si vedono dietro i vetri scuri.
Sento già la sete seccarmi la gola. Sarebbe così facile entrare e… No. Stasera non si beve. Stasera No.
Giro i tacchi e vado verso la stazione. Non dovrei. Lì è facile trovare da bere, trovarsi un vicolo buio dove nessuno rompe. Ci vado lo stesso. Girovagare vicino la stazione mi piaceva anche prima. Prima di avere sempre voglia di bere. Prima di cominciare a uscire la notte, e a dormire il giorno. Prima di cambiare.
Di sfuggita vedo una coppia salire su un taxi. C’è anche un bambino con loro. È strano come finisca sempre per pensare ai miei genitori durante la notte. Non li vedo da quando è successo. Meglio così. Loro non capirebbero. Non capisco nemmeno io cosa succede dentro di me, a volte. Guardo i muri della stazione. Sono grigi. È tutto grigio stasera.
Mi gira la testa. O forse è solo noia. Ma ho voglia di bere. Dopo che bevi sembra tutto migliore. Più divertente, più vivo. Quando bevo sento molto meglio il mio corpo, e con lui anche quello che c’è intorno. Stasera non sento niente. La vista è offuscata. Non sento neanche più il vento sulla pelle. E poi non sento il mio cuore battere.
Se bevessi sarebbe diverso. Basterebbe qualche sorso. Qualche sorso e sarei felice, in pace. Ma stasera non si beve. L’ho promesso.
Ma a chi poi?
Mi gira ancora la testa. Mi appoggio a uno dei tanti muri grigi della stazione. Non è poi tanto bello come posto. La ricordavo più colorata. Strano, però, mi piaceva la stazione. Ora no. Almeno non se non bevo.
Mi avvio, forse verso casa. Fa tutto schifo. Fa freddo. Fa freddo e schifo. La cosa peggiore è che so che basterebbe poco per farmi stare meglio. Giusto un sorso. Sento il rumore di un paio di tacchi dietro di me. Mi giro. C’è la moretta di prima, quella uscita da quel pub. Ha una bottiglia di vodka in mano, e a giudicare dalla sua andatura ne ha già bevuto un bel po’.
Appena mi vede, la morettina si ferma a guardarmi. «Vuoi un sorso?» mi dice, e dondola la bottiglia.
La guardo per un attimo. È carina. Non proprio bella, ma carina. Ha un cappotto rosso che le scende fino alle ginocchia e un berretto di lana bianca intonato ai guanti. Non ha la sciarpa. Ha il collo affusolato, pallido per il freddo. Si vede qualche vena bluastra sotto la pelle chiara. Mi piacciono le ragazze che non mettono la sciarpa.
«Volentieri» sussurro, e subito mi sento in colpa. Questa è l’ultima volta, continuo a ripetermi.
«Vieni. Mettiamoci comodi» dice la morettina. Imbocca una via laterale. Le vado dietro e la trovo seduta su una gradinata. «Dai, bevi» mi dice.
Non voglio farlo. Mentre mi siedo penso già a come mi sentirò dopo, a quanto mi farà stare male. Ma intanto sento una voglia dentro che mi trascina e non oppongo resistenza.
Sono seduto accanto alla moretta. Non la guardo neanche negli occhi e la bacio. Lei mi lascia fare. Dalla bocca mi sposto lentamente al suo collo. Ha un buon sapore. Qualcosa mi dice di non farlo, ma è qualcosa di troppo debole e confuso per fermarmi. Solo il ricordo di quella che era una coscienza. Non so fermarmi, e non so se lo voglio. So solo che ora voglio bere. Comincio a succhiarle il collo e il corpo comincia ad agire da solo. Questa è l’ultima volta, continuo a ripetermi.
Finalmente bevo, e ne gusto tutto il sapore. Caldo. Denso. E mentre i miei canini si conficcano sempre di più nel collo della morettina, sento il suo sangue scivolarmi nella gola e sulle mani. E sento la sua paura vibrare, mentre il suo corpo si muove sotto il mio. E sento le sue urla mischiarsi al mio ansimare, mentre la voce le muore in gola. E sento il suo cuore rallentare il ritmo, mentre il mio batte all’impazzata.
Questa è l’ultima volta, continuo a mentirmi.

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