“Imperium” di Christian Kracht

di / 16 aprile 2013

La collana Bloom di Neri Pozza ci ha abituato a libri di qualità, che arrivano da lontano con il loro carico di paesaggi e personaggi ignoti, ma resi subito familiari grazie a penne incisive della letteratura mondiale contemporanea.

Imperium di Christian Kracht non delude le aspettative. Appoggiati al parapetto del Prinz Waldemar, piroscafo in viaggio verso i Mari del Sud, iniziamo un viaggio che spazia dal passato europeo e vagamente romantico del protagonista, inserito qua e là attraverso piccoli flashback ben incorniciati, alle coste della Nuova Pomerania, oggi Nuova Britannia, che (siamo alla fine dell’Ottocento) è protettorato tedesco in preda alla furia sfruttatrice dei «plantators». August Engelhardt, però, ha un altro progetto che non prevede profitti diversi da quelli spirituali; più di un progetto, una missione: vegetariano e nudista con lunghi capelli, sandali intrecciati e tunica di lino, vuole comprare un pezzo di terra, avviare una piantagione di noci di cocco e fondare una colonia di «coccovori, mangiatori di cocco».

«La Cocos nucifera, questa fu la conclusione cui Engelhardt giunse, era letteralmente la regina della creazione, il frutto dell’albero del mondo Yggdrasil […]. Chi la eleggeva a unico nutrimento sarebbe diventato simile a Dio, sarebbe diventato immortale». Davanti ai suoi occhi profetizzanti si spalanca il paesaggio esotico e incontaminato dell’isola di Kabakon. A un prezzo competitivo ha potuto comprarla, case e popolazione indigena inclusa, e ne è diventato padrone unico e assoluto. Ma se la modernità introduce un tipo di possesso basato sull’arricchimento del più forte, la striscia di mare separa Kabakon dal resto della colonia e può tenere al sicuro la Cocos, l’«immagine vegetale di Dio».

Kracht, giornalista e reporter di successo, con il suo terzo romanzo dimostra la volontà di contrapporre alle immagini forti e spietate a cui la storia del colonialismo ci ha purtroppo abituato, uno sguardo incantato, una proposta alternativa e sognante, che prova a farsi strada, a ritagliarsi uno spazio nell’assurdo. La narrazione è condotta da una voce esterna e onnisciente che rivela lentamente tutti i fili che costituiscono la trama, dando un’attenzione particolare ai personaggi collaterali. Di tutte storie che Engelhardt incrocia anche solo per pochi secondi, infatti, ci viene detto qualcosa in più del necessario in modo curioso e spiazzante; nessun passante è semplicemente un passante, la sua vita si interseca a quella del protagonista solo per un attimo, ma poi continua in un piccolo quadretto.

Imperium, contrariamente alla solennità del titolo e del piroscafo che incede sulla copertina, è un libro fatto di tasselli semplici, di attimi di tenera umanità. Il  momento in cui Engelhardt legge Grandi speranze di Dickens in traduzione tedesca a un piccolo indigeno che dapprima non capisce nulla, poi inizia a tradurre alcune parole in creolo e pidgin e finisce elaborando le sue prime frasi in tedesco, è forse l’immagine che più di tutte sintetizza la fiducia, la grande speranza nella possibilità di un incontro sincero, umano e senza padroni.

(Christian Kracht, Imperium, trad. di Alessandra Petrelli, Neri Pozza, 2013, pp. 189, euro 16)

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