“Clôture de l’amour” di Pascal Rambert

di / 18 aprile 2013

Chi amiamo quando amiamo? Cosa amiamo?
Uno spazio asettico, spoglio, gelido. Luci al neon e pareti bianche. Due gli attori sulla scena. Clôture de l’amour è un epilogo dalle note aspre e ruvide che mette completamente a nudo l’attore, lo spettatore, l’amore stesso.

Anna e Luca fanno il loro ingresso in una scena che già rappresenta quello che sono, quello che hanno da dirsi, quello che poi saranno. Non esiste dialogo, non esiste scambio di battute, ma solo un’esausta esternazione: le prime parole pronunciate da Luca danno inizio a un flusso ininterrotto in cui tutto si palesa senza alcun freno, in un monologo estenuante che può avere come unico epilogo il completo svuotamento di se stessi, il rovesciamento, il bouleversement (forse termine più adatto non esiste) della propria interiorità.

Chi amiamo quando amiamo? Cosa amiamo? Si può amare qualcuno, sì, ma probabilmente si ama soprattutto l’idea stessa di questo amore. Ed è qui che tutto viene messo in discussione dagli analitici ragionamenti di Luca, che sviscera ogni sfaccettatura del suo amore giunto al capolinea, e con una spietata freddezza ne spiega le ragioni all’inerme Anna. Lei trema, singhiozza silenziosamente e sembra cedere nella sua fermezza, ma ascolta immobile le parole di un uomo che ancora osa chiamarla «amore mio». Un amore de-costruito, un amore che è un mausoleo, così lo definisce Luca. Un mausoleo costruito da Anna, una finzione che si svela in ogni suo aspetto, fino a impedire agli amanti di riuscire a guardarsi ancora «nel bianco degli occhi», il che è probabilmente una delle più autentiche forme di finzione.

Il monologo di Luca viene interrotto da un momento di inaspettata normalità impersonato da un coro di bambini che intona “Bella” di Jovanotti. Due minuti che allentano la tensione, paradossalmente stranianti all’interno di quel vortice di parole nel quale siamo stati inghiottiti senza neanche accorgercene.

Ma il tempo di abituarsi non c’è, ed ecco che tocca ad Anna, così diversa, così irruente rispetto al suo compagno, Anna che smonta qualunque ragionamento o teoria, Anna che rade al suolo ogni concetto elaborato da Luca pochi minuti prima. Le sue parole sono viscerali, vengono dal suo ventre, sono state create dalla rabbia che solo l’impotenza davanti a un fatto come questo può creare. Ogni traccia di razionalità viene meno, per lasciare posto a una nervosa fisicità che diventa emblema di tutto quello che fino alla fine si è scelto di volersi tenere dentro.

Ad Anna non importa della sedia con i ricami rosa né dell’illustrazione settecentesca che Luca vuole a tutti i costi. Lei vuole ciò che a questi oggetti è legato, vuole il vivido ricordo di ogni dettaglio, vuole tenere con sé quelle piccole, apparentemente insignificanti cose che senza che ce ne accorgiamo finiscono da qualche parte, dimenticate.

Le parole finiscono. I gesti nervosi, le lacrime, finiscono anche loro. Siamo di fronte a due esseri svuotati, uguali, nudi.

Uno spettacolo che lascia senza parole. Il testo di Clôture de l’amour nasce in francese, una lingua che riesce a essere allo stesso tempo dolce e spigolosa, a tratti tagliente. Coloro che hanno avuto l’occasione di vedere la versione originale (per esempio al festival Vie, Scena Contemporanea dell’anno scorso) potranno constatare che la traduzione italiana non delude, e la spietata raffica di emozioni alle quali siamo sottoposti è esattamente la stessa.

Allo spegnersi delle luci di scena lo spettatore resta semplicemente muto, immobile, esausto.


Clôture de l’amour
Testo e regia di Pascal Rambert
Traduzione di Bruna Filippi
Con Anna della Rosa, Luca Lazzareschi

Spettacolo andato in scena dal 3 al 14 aprile 2013 presso il Teatro Vascello di Roma.

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