“Poesie e prose” di Vittorio Sereni

di / 11 ottobre 2013

Da pochi mesi in libreria troviamo un volumone degli Oscar che raccoglie Poesie e prose di Vittorio Sereni a cura di Giulia Raboni con un ricordo di Pier Vincenzo Mengaldo (Mondadori, 2013). Nell’anno del centenario della nascita, Mondadori omaggia l’ex direttore editoriale raccogliendo tutte le poesie, compresi i versi tradotti da altri (Il musicante di Saint-Merry) e aggiungendo una cospicua parte delle sue prose, tra cui troviamo le bellissime pagine diaristiche de Gli immediati dintorni, le sperimentazioni narrative riunite ne La traversata di Milano e le prose critiche di Letture preliminari e Poesie come persone.

Il carattere discontinuo e in costante rielaborazione del lavoro sereniano rende difficile il compito di un curatore, ma possiamo essere grati alla logica di rendere accessibile l’opera in versi e in prosa di un poeta su cui si sentono ancora aperti i lavori in corso. Tutto ciò che confluisce in questo volume infatti era già disponibile in edizioni non sempre facilmente raggiungibili.

Riprendere in mano le poesie e le prose di Vittorio Sereni ora, significa trovarsi di fronte un capolavoro del dubbio, un trattato sull’enigma esistenziale e artistico imposto da una figura obliqua, sottile come la pagina. L’uomo, il poeta e il personaggio concorrono in questo romanzo allucinante condotto sulle vie della memoria e del presente, fra il deserto della prigionia e le catene della vita borghese, in guerra e in pace sempre con un sospetto superfluo nella coscienza, con il distacco di chi si era immaginato una storia da poeta e si era trovato a vivere in un mondo più morboso di ogni fantasia.

In tutto questo il poeta Sereni non smise di tormentarsi nel rovello della propria incapacità di essere adatto all’espressione lunga e costante, stillando in tutto quattro raccolte, mentre dirigeva i lavori della “letteratura d’oggi” nel completo impeccabile del funzionario di poeti (come lo definì Gian Carlo Ferretti). La parte più corposa dell’opera sereniana vista nell’insieme è una riflessione a partire ciò che lo fa inorridire in alcuni versi di “Un posto di vacanza”:   

 

Non c’è indizio più chiaro di prossima vergogna:
un osservante sé mentre si scrive
e poi scrivente di questo suo osservarsi.
Sempre l’ho detto e qualche volta scritto:
segno, mi domandavo, che la riserva è quasi a secco,
che non resta, o non c’era, proprio altro?
Che fosse e sia un passaggio obbligato? Mi darebbe coraggio.

 

La sensazione che sperimenta Sereni in anni di reiterato lavoro, con inevitabile sconfitta/rimorso, è la vertigine di fronte a un panorama inafferrabile e tremendo, la visione dalle altissime vette di un’esigenza artistica intransigente di quella waste land che è il nostro concluso Novecento.

Una lettura non facile insomma, un viaggio di attrazione verso il nulla e il vuoto privo della struttura coerente che caratterizza i capolavori di fine Ottocento, un ritratto di io e mondo ridotto in frantumi e riassemblato attraversando stili, velleità e amarezze private, agli albori della scrittura massificata e industriale.

Il Virgilio che accompagnerà il lettore di queste Poesie e prose sarà un personaggio curioso e infastidito, trattenuto da un ritegno aristocratico tutto milanese e cordiale nel calore dei suoi slanci di amicizia, come si tratteggia in “Autoritratto”: «Sono senza dubbio un metereopatico. Tanto più che mi sento in disaccordo con tre delle quattro stagioni che formano l’anno: vorrei che fosse sempre estate e che nessuna anomalia atmosferica venisse a turbarla. Essere in disaccordo con le stagioni significa essere in disaccordo con l’esistenza a cominciare da se stessi. Scrivere fa parte dell’esistenza sebbene io abbia qualche dubbio in proprosito. Il dubbio deriva, a seconda dei casi, dall’ipotesi di un di più di vitalità che lo scrivere rappresenta oppure, all’opposto, dal sintomo di incompletezza, di non adeguata attitudine a vivere pienamente».

(Vittorio Sereni, Poesie e prose, a cura di Giulia Raboni, Mondadori, 2013, pp. 1214, euro 24)

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