“Cargo” di Matteo Galiazzo

di / 4 novembre 2013

Se questo fosse un articolo su un romanzo o su un qualsiasi altro libro, a breve incontrereste le varie formule e gli stilemi che caratterizzano tale composizione. Si presenterebbe l’autore, la trama e gli aspetti più significati dell’opera. Poi, cercando di essere il più analitici e critici possibile, si passerebbe ai giudizi o alle conclusioni. Magari qualche paragone con un testo di riferimento o affine. Il tutto agitato nelle più o meno mani sapienti dello scrittore. Ora però c’è un problema, se così si può definire. Una variabile impazzita chiamata Cargo, di Matteo Galiazzo (Laurana, 2013). E tutto ciò che avete letto prima riguardo all’articolo perde di senso. Oppure, ne acquista di nuovi.

Sì, poiché Cargo è fatto apposta per non essere descritto, per non essere catalogato, classificato e giudicato. Cargo non è altro che il tentativo dell’autore di prendere per mano il lettore e calarlo nel labirinto oscuro dei suoi pensieri e ragionamenti. L’articolo potrebbe finire con questo spunto: quanto siete disposti a scendere nel delirio narrativo di Galiazzo?

Bene, in base alla vostra disponibilità trarrete il corrispettivo gradimento di fruizione. Senza girarci troppo intorno; tutti gli altri articoli che troverete riguardo Cargo giocano molto su «è un romanzo che annulla il romanzo» e cose simili: tutti vecchi stratagemmi per invogliare il lettore che magari ama Pynchon, Wallace, Vonnegut e Salinger. Qui le cose sono un po’ diverse, ma va dato atto che Galiazzo ha avuto la correttezza di gettare subito le carte sul tavolo e giocare a viso scoperto. Va dato plauso all’autore di non aver marciato troppo sul concetto di decostruzione-distruzione, così in voga tra alcuni scrittori-finti-intellettuali. Una sincerità e un’onesta che non ha pagato, visto la sorte nefasta capitata alla prima edizione del romanzo per i tipi di Einaudi, uscita nel 1999.

Erano passati solo tre anni dall’esordio clamoroso nell’antologia Gioventù cannibale e Galiazzo si presentava come l’autore più estremo e potente. A ribadirlo c’era la successiva raccolta di racconti che già dal titolo era una dichiarazione d’intenti: Una particolare forma di anestesia chiamata morte, del 1997. Due anni dopo tocca a Cargo e nel 2002 Il mondo è posteggiato in discesa. Poi un silenzio interrotto solo nel 2012 con Sinapsi. Opere postume di un autore ancora in vita (altro titolo che vale da manifesto). Per il resto, l’attività e la vita di Galiazzo hanno assunto spesso forme di leggenda metropolitana.

Oggi, la casa editrice Laurana ripropone in una nuova collana interamente digitale, Laurana Reloaded, quel piccolo cult che è Cargo, la cui denominazione dei capitoli in “Frattali”già fa intuire che la strada è impervia. In salita, ma inizialmente non faticosa. Per buona parte dell’opera Galiazzo riesce a tramutare i suoi sproloqui sull’universo, la matematica e l’economia in tentacoli affabulatori in grado di catalizzare i viaggi mentali del lettore. Le varie storie sembrano equilibrarsi: Alfio che deve seguire una ragazza, fidanzata con il committente del pedinamento, il miliardario arricchitosi con gli imballaggi, la moglie del miliardario che una volta rapita diventa autrice di best seller scritti durante la latitanza. Per non parlare dell’universo parallelo in cui due carcerati parlano di libri simili a tubetti di dentifricio. Tuttavia, si arriva a un punto dello svolgimento in cui l’edificio crolla e solo i più temerari provano ad andare fino alla fine.

Con Cargo, Galiazzo sfoga tutto il suo folle talento e la sua originalità: cosa altro aspettarci da un autore che cita come suo libro preferito Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante di Hofstadter?

Difficile quanto affascinante, il romanzo dell’autore veneto è consigliabile a chi è stufo delle solite forme e classificazioni romanzesche, e a chi non ha paura di incedere negli anfratti oscuri di una mente paurosa quanto brillante.


(Matteo Galiazzo, Cargo, Laurana, 2013, euro 4,99)

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