“Leaf”: a tu per tu con i Moseek

di / 31 marzo 2014

Freschi vincitori del Premio della Giuria dell’Against Sanremo organizzato da Radio Kaos Italy, facciamo quattro chiacchiere con i Moseek: una band che si farà sicuramente sentire in giro. E per parecchio tempo…


Leaf è il primonon primo album dei Moseek: raccoglie tutti i pezzi dei vostri primi anni e ha una genesi molto lunga, ce la raccontate?

Leaf è la fusione dell’Ep Tableau del 2010 e del disco Yes, Week-end del 2012, entrambi autoprodotti. Nell’aprile del 2012 abbiamo conosciuto l’etichetta OneMoreLab che ci ha proposto di fare un disco “ufficiale” edito da Dont’Worry Records e distribuito nel digitale e nel fisico da Edel. Questa vera e propria operazione discografica, appunto Leaf, ha avuto una gestazione piuttosto lunga, avendo infatti visto la luce a Gennaio 2014, dopo quasi due anni dalla proposta dell’etichetta. L’album consta di 11 tracce, tra cui sette prese direttamente da Yes, Week-end, tre da Tableau e registrate ex-novo, insieme al singolo “Leaf”.


Alcuni dei pezzi, per esempio “Pills”, erano usciti come singoli diverso tempo fa. Ci spiegate bene questo discorso di fondere un Ep e un primo lavoro Yes, Week-end, all’interno di un unico album, a distanza di quasi due anni.

In realtà la fusione avrebbe dovuto vedere la luce a novembre 2012, subito dopo la pubblicazione di Yes, Week-end, tempo di registrare i 4 brani e di girare il videoclip: l’etichetta per poter cominciare a lavorare al nostro management e booking aveva necessità di avere un prodotto che fosse anche suo. Ecco perché ci ha proposto questa “fusione”, serviva in poco tempo un prodotto senza dover rientrare in studio con pre-produzione e tutto quello che necessita la lavorazione di un nuovo album. La latenza tra progetto e realizzazione non è stata una nostra volontà, semplicemente ritardi e rinvii non dipesi da noi ci hanno fatto arrivare a gennaio 2014: è stato annullato il tour estivo ed europeo/autunnale, non è partita la macchina di promozione completa in tempo ed eccoci qua. Fosse stato per noi tre, oggi avremmo un nuovo disco di nuovi brani, che però si possono ascoltare solo ai nostri concerti, ma Leaf ormai esiste e sulle cose che non abbiamo gestito in prima persona possiamo solo alzare le mani, non pensarci e andare avanti serenamente.


Il vostro sound è una contaminazione di rock con l’elettronica… ma cosa viene prima nella storia dei Moseek musicisti? Il rock o l’elettronica?

Il rock, necessariamente. Gli anni ’90, per forza di cose, hanno dettato legge sulle cose che ascoltavamo, ci siamo cresciuti! Poi internet ci ha permesso di andare a scovare non solo la musica che trovavamo sulla classifica di Tv Sorrisi e Canzoni o su Pop of the Pops e quindi abbiamo cominciato ad ascoltare molti progetti semi-sconosciuti al grande pubblico qui in Italia – Röyksopp, Blonde Redhead, Beach House, NIN (già, semi-sconosciuti qui in Italia, se chiedi in giro c’è qualcuno che ancora non li conosce!!). Di base però il fascino dell’elettronica c’è sempre stato, forse è un po’ il retaggio dei nostri genitori che ci facevano ascoltare da piccoli l’elettronica degli anni ’80. Inizialmente avevamo infatti una tastiera, a cui si è aggiunto il sequencer, la cui evoluzione è tutta nel synth che suona Fabio e l’aggiunta di un set di pad elettronici oltre alla batteria acustica che suona Davide.


Siete un gruppo che punta molto sull’ impatto live, tant’è che il disco, nei pezzi più forti, tende a riprodurne gli effetti: quanto è importante per voi questo approccio? Temete che le registrazioni possano bloccare questa vostra esplosività? Io sono convinto di no, anche perché l’aspetto del sound è fondamentale per voi…

L’approccio live è fondamentale: non scriviamo la scaletta prima di salire sul palco, abbiamo la nostra scenografia composta anche da luci che sono studiate sulla canzone, momento per momento. Concepire uno spettacolo nei minimi particolari, ovvero scaletta, scenografia, luci fa parte del nostro modo di lavorare ormai. Le registrazioni presenti nel disco accennano solo in parte quello che esprimiamo sul palco e quando le gente ci dice che siamo piaciuti più live che su disco, lo prendiamo come un dato di fatto, è così. Bisogna avere esperienza anche in quell’ambito, rendere su un disco l’energia di un brano non è sempre facile. In ogni caso pensiamo che l’album attuale non corrisponda ai Moseek di oggi perché, come abbiamo già detto, i brani inseriti sono del 2012 e sostanzialmente siamo molto cambiati. Pertanto ti risponderemo con più precisione e maggior consapevolezza quando uscirà il prossimo lavoro!


Musicalmente, quali sono i vostri modelli? Sono condivisi da tutti, o ci sono delle divergenze?

Non ci sono delle divergenze se non nel fatto che Elisa apprezza determinati artisti italiani che io [Davide, ndr] e Fabio non amiamo in particolar modo. Muse, Pearl Jam, Incubus, Massive Attack e NIN sono per noi dei maestri. Più che modelli si parla di fonti d’ispirazione.


Per tornare al disco, molto interessanti sono anche quei pezzi più riflessivi, come “Mr Benson”, o “In Slippers”, che invece offrono un altro sguardo, più introspettivo. Le nuove composizioni seguono questa tendenza? O è stato casuale?

Le nuove canzoni hanno un approccio meno “spensierato” rispetto a pezzi come “Bad Things” o “A Room & a Kitchen”, non mancano brani da pogo o che strizzano l’occhio alla dancefloor, all’interno dei brani stessi ci sono momenti riflessivi, a tratti solenni. Senz’altro sono concepiti per far ballare e i testi come le sonorità hanno sempre un fondo di malinconia.


Quindi la domanda successiva è scontata: come sono i nuovi Moseek, verso cosa vi state spostando?

L’elettronica è sempre più presente, tanto che di pari passo abbiamo anche un repertorio esclusivamente elettronico, fatto di pad, synth, due timpani e due voci per poter sfruttare location dove non è possibile suonare con chitarre e batteria acustica, location che necessitano volumi contenuti. Le nuove canzoni sono più articolate e c’è sempre meno l’impostazione strofa-ritornello-strofa-ritornello-bridge-chiusura. Ci divertiamo all’interno dei brani rompendo alcune convenzioni pop e, se dovessimo definirci, non sapremmo al momento cosa dire, abbiamo preso la direzione di uno stile piuttosto inclassificabile perché mescoliamo linee di basso quasi dancefloor e disco, ad atmosfere che sfiorano il tribale. Giochiamo molto di più con i suoni e ci divertiamo a sperimentare.  


Riflessione sugli artisti emergenti? Si fatica a suonare?

Questa domanda necessita di un tre quarti d’ora di conversazione, almeno. Se si fatica a suonare, le motivazioni sono attribuibili a diversi fattori: per sintetizzare diciamo pubblico non educato e certi tipi di musicisti e affini.
Il pubblico non educato all’ascolto dipende dal fatto che viene veicolato dai media un certo tipo di musica e quindi «underground» diventa l’equivalente di «sconosciuto». Pertanto, la gente che va ai concerti underground, ovvero ai concerti di sconosciuti, è al momento un numero limitato. Quindi i locali fanno fatica a organizzare serate con tanta gente e a invitare band dell’underground garantendo un cachet dignitoso. Una parentesi a parte è il discorso dei gestori dei locali, ma ne parliamo tra poco.

Si fatica poi a suonare perché esiste una categoria di musicisti e personaggi del settore che vestono i panni di produttori e imprenditori, direttori artistici e quant’altro, e mangiano sulle aspettative e sugli spicci di altri musicisti puntando sulle cose che questi ignorano. Infatti molti artisti non conoscono il significato e la differenza tra booking e management, non sanno cosa sia un ufficio stampa, non hanno idea di cosa sia un editore o una label. Ecco questa poca conoscenza dei ruoli e di come funzionano le cose gioca a favore delle figure suddette. E così c’è, purtroppo, una grande quantità di musicisti che perdono tempo, che straziano la loro pazienza e costanza stando dietro a meccanismi, anche squallidi, e a prese in giro. Una nota di demerito va anche a qualche gestore/direttore artistico che pur di riempire il locale fa suonare il gruppetto alle prime armi, il quale si porta dietro tutta la classe, mamma, papà e nonni e che “invitano” e costringono gli altri presenti ad alzarsi e ad andare via. Ecco queste scene inducono la gente ha pensare: “musica emergente” uguale “musica sgombera locali”. E poi si lamentano che non hanno clientela abituale…
Si fatica a suonare? Questa domanda non ha dentro solo la questione di quanti live si fanno in una stagione, ma include anche quanto vengano messe a dura prova la pazienza, la costanza e la passione perché di gente che ti fa perdere tempo, che dice cavolate evidenti, che ruba i tuoi soldi (anche se sono due spicci), se ne trova a bizzeffe e la difficoltà non sta solo nel riconoscerle, sta anche nell’affrontarle e nell’avere la forza di ricominciare ancora una volta da capo.

 

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