“The Walking Dead”: la quarta stagione
di Mirko Braia / 2 aprile 2014
The Walking Dead di presentazioni ormai non ha più bisogno. Il successo dello show (sempre abbondantemente sopra i 10 milioni di spettatori) è tale da aver spinto Sky, tramite Fox, a trasmettere gli episodi in contemporanea con gli USA, completamente doppiati in italiano dopo 24 ore dalla messa in onda americana. Ma non è tutto oro quello che luccica.
Giunti ormai alla quarta stagione c’è sicuramente una frangia scettica più titubante sulle scelte degli autori. A prescindere da piccoli errori pacchiani su cui si può sorvolare, a tratti sembra mancare un po’ di mordente. Se la prima stagione divisa tra Atlanta e il CDC sembrava porre le basi per una storia ricca di eventi e di colpi di scena, il passaggio alla fattoria prima e alla prigione poi ha enormemente contribuito alla staticità dello show.
La terza stagione si era conclusa con un sanguinoso scontro a fuoco a Woodbury; la quarta stagione ci ha presentato invece una prigione trasformata quasi in un residence. L’immagine di Rick allevatore e agricoltore è stata la fotografia della trasformazione dell’atmosfera sempre tesa e inquieta degli episodi precedenti. Il tentativo di spostare l’attenzione dalla minaccia zombie a quelle portate direttamente o meno dagli uomini (siano state esse l’epidemia alla prigione oppure l’ultimo disperato tentativo del Governatore di avere la meglio sul gruppo di Rick) ha, a mio parere, creato un problema opposto. In tutta la quarta stagione la quasi totalità dei decessi sono dovuti a malattie o scontri a fuoco. Anche dopo il finale di midseason e la creazione dei piccoli gruppi pronti a lottare per sopravvivere, gli erranti sono diventati delle macchiette sullo sfondo, buoni solo per far sfogare i vivi. Sono ben lontani i tempi in cui le strade erano terreno di caccia di veri e propri eserciti di non-morti.
E poi c’è quel nome accennato poco fa da approfondire. A molti fan il Governatore era piaciuto veramente molto. Vero, sarebbe stato controproducente trascinare per stagioni e stagioni la guerra tra lui e Rick, ma per decidere di mandare via un personaggio così carismatico bisogna avere contromisure pronte. Cosa che non è avvenuta con la seconda metà di stagione, in cui una serie di episodi un po’ “piatti” e sostanzialmente senza ritmo alcuno hanno costretto molti fan a trascinarsi le puntate finali. Certo, non sono mancati momenti capaci di regalarci un sussulto: il “confronto” tra Carol e Lizzie è stato senza dubbio toccante, e «guarda i fiori» si candida assolutamente come citazione di questa stagione.
Il problema è stata la continua sensazione di vedere qualcosa trattabile in molti meno episodi, magari regalando più spazio a Terminus. La vera quarta stagione è iniziata in sostanza nell’ultimo quarto d’ora mostratoci, aprendo la strada a diverse possibilità interessanti per la quinta (nella speranza che vengano trattate nella maniera giusta).
Uno dei punti di forza di The Walking Dead continua a rimanere la vera mancanza di alternative. Non si può cercare una serie sugli zombie da seguire per qualche anno e trovare un nome diverso dalla creatura di Darabond. Una delle più valide alternative (anche se non si può completamente paragonare a TWD), Les Revenants, tornerà in onda non prima di fine anno, lasciando ancora terreno spianato per lo show AMC. A noi non resta che rimetterci alla clemenza di Terminus, nella speranza di venire ricompensati con un ritorno alle origini.
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