“Gli anni di ghiaccio ” di Anna Kim

di / 30 maggio 2014

Gli anni di ghiaccio (Zandonai, 2014) è il terzo romanzo di Anna Kim, e le è valso l’European Union Prize for Literature 2012.

Il romanzo è ambientato a Vienna, nel 2005, ma è intriso di ricordi che provengono da Kosovo ed è chiuso tra le mura di un ufficio che ricerca persone scomparse. Luan Alushi è un uomo albanese che, da sette anni, è alla ricerca della moglie Fahrie, arrestata nel 1998. Nora, impiegata nell’organizzazione di ricerca, è la narratrice interna, la testimone di un dolore timido, il perno intorno al quale ruota una speranza che sembra essere perpetua, ma che è destinata ad affievolirsi mano a mano che la realtà prevale.

«Tutti e nove i cadaveri erano stati sgozzati e avevano i peli del corpo bruciati. La testa di una delle vittime era stata scotennata e le erano stati cavati gli occhi».

Anna Kim racconta, con grande realismo, il vuoto che ha seguito la guerra del Kosovo. È  forte il contrasto tra il dolore di chi resta e la fredda burocrazia, indifferente e ineludibile. La scrittrice non si limita a narrare solo di una coppia, ma  fa il ritratto di un paese disfatto dove c’è chi sceglie di rimanere indifferente, perché tiene alla propria vita più di ogni altra cosa, e chi, invece, mette davanti a tutto la libertà, sentendosi più libero mentre, chiuso nella recinzione di filo spinato, crede di lottare. 

Dal punto di vista stilistico il romanzo è caratterizzato da una scrittura fortemente sperimentale. Un flusso di coscienza tra la prima e la seconda persona, che non fa uso di virgolette e che inventa una punteggiatura curiosa alternandola a quella classica. Il tocco di originalità appare eccessivo e volutamente autocompiaciuto, mostrando l’ingenuità stilistica di chi scrive.
«A casa si fa largo quel sentimento ingrato
richiamo alla memoria i momenti, non faccio la pignola e conferisco loro il significato che mi pare e piace, uno sguardo, il suo spegnere, spegnersi, il contatto che c’è stato e mi domando se è il caso di presupporre di più –
poi parlo di te per far posto ad altro […]»
La scrittrice personalizza la regola dell’andare a capo, conclude la frase talvolta con un trattino, quasi tutto questo esagerare fosse un altro modo di comunicare quanto non si comunica con la sola narrazione. José Saramago si serve di frasi molto lunghe, e si serve di una punteggiatura anticonvenzionale, tale da rendere la lettura poco fluida e volutamente rugginosa. Olga Tokarczuk sottolinea l’importanza che per lei hanno alcuni nomi comuni con l’uso dell’iniziale maiuscola, comeTenebre, Cerve, Colpa. Non è raro, dunque, lo sperimentalismo letterario, eppure quello di Anna Kim non sembra rispondere a un’esigenza di comunicazione, quanto piuttosto al desiderio furbesco di sorprendere con un’escamotage che non ha una vera e propria ragione d’essere.

La trama, che è svelata già nelle prime pagine, rischia di rendere la lettura inizialmente poco frizzante, anche se mai piatta. Il finale, invece, sorprende e lascia attoniti.


(Anna Kim, Gli anni di ghiaccio, trad. di Anna Allenbach, Zandonai, 2014, pp. 144, euro 12)

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