“Doctor Sleep” di Stephen King

di / 4 giugno 2014

Prima di parlare di Doctor Sleep (Sperling & Kupfer, 2014), converrebbe parlare di Stephen King. Cosa ha da dire ancora il “Re del Brivido”? Può la sua inarrestabile vena letteraria darci ancora delle emozioni degne di questo nome?

Il King degli anni 2000 ha saputo reinventarsi più di una volta. Dopo aver passato tre decadi a sfornare best-seller dell’orrore – con qualche rara e gradita eccezione – e aver ammirato le sue opere adattate sul grande schermo da tutti i registi possibili e immaginabili, lo scrittore del Maine è sceso a patti con la sua scrittura.

Leggenda vuole che King si alzi tutte le mattine quasi all’alba, scriva filato per almeno quattro ore, e poi si conceda la sua passeggiata, lungo quella via di casa su cui, qualche tempo fa, ha rischiato di morire schiacciato da un camion: ma questa è un’altra storia. Tutto ciò per dirvi che lo scrittore negli ultimi anni ha virato la rotta letteraria verso altri generi e possibilità narrative. La serie de La Torre Nera, iniziata nel 1982 con L’ultimo Cavaliere, e proseguita per otto romanzi, fino a La Leggenda del Vento del 2012, mostra uno scrittore aperto alle potenzialità del seriale e ai contesti più fantastici. The Dome del 2009 è significativo perché, quando il libro è diventato una serie tv, l’autore ha scelto di seguire passo passo l’adattamento dell’opera, intuendo la nuova vita che poteva offrire l’ormai perfetta formula della fiction tv al romanzo. E a volersi allontanare ancora di più, quasi senza far troppo rumore, King piazza nel giro degli ultimi due anni quelli che la critica considera due dei suoi capolavori: 2211’63 e Joyland. In ambo i casi, di horrror non se parla: allora come è possibile che adesso, sulla scia di queste soddisfazioni, King decida di dare un seguito alla summa oscura chiamata Shining?

Vediamo se Doctor Sleep ci offre altrettante risposte.

Danny Torrance non se la passa affatto bene. Gli eventi dell’Overlook Hotel sono ancora incisi nella mente e per quanto abbia lottato per evitarlo, ora è un alcolizzato fallito come il padre. Le prime pagine del romanzo ce lo mostrano in tutto il suo squallore. Poi, da qualche parte dell’America, una piccola bambina cerca di mettersi in contatto con lui. Tenterà di farlo tramite la “luccicanza”, lo shining appunto. Passano parecchi anni e scopriamo che per le autostrade americane si aggira il Vero Nodo: un gruppo di nomadi che ci ciba dei bambini in possesso di quel raro dono telepatico. Glielo succhiano letteralmente via, e spesso gli avanzi li conservano in bombole d’ossigeno.

Intanto Dan Torrance è diventato Doctor Sleep: con il suo dono aiuta le persone nel momento della dipartita. Ha un lavoro, una stabilità. Le cose vanno bene fino a quando il Nodo non vuole Abra, la bambina che lo cercò qualche anno prima.

Le premesse per un grande libro ci sarebbero tutte, ma superate le trecento pagine, Doctor Sleep procede ma non decolla. Ed è un vero peccato. King si diverte ad autocitarsi (il lettore-fan ci metterà un attimo a carpire i riferimenti poco velati a It o Salem) nella speranza di rievocare i tempi d’oro dell’orrore. E diciamolo, in alcuni momenti, soprattutto all’inizio dell’opera, ci riesce. Ma Doctor Sleep risente troppo del rapporto mentale a distanza tra Dan e Abra e il Nodo non è un antagonista così terribile.

Un buon libro, ma non il capolavoro che ci si aspettava. Forse che King senta il bisogno di ritornare al principio, in un momento in cui ha detto tutto? Rimane il fatto che, per assurdo, uno dei momenti più belli ed emozionanti di Doctor Sleep sia la dedica iniziale.

(Stephen King, Doctor Sleep, trad. di Giovanni Arduino, Sperling & Kupfer, 2014, pp. 514, euro 19.90)

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