“48:13” dei Kasabian

di / 23 giugno 2014

Potente, ricco e complesso. Questi sono i tre aggettivi che caratterizzano uno dei migliori dischi del 2014. Infatti, se ancora non lo sapete, lo scorso 9 Giugno è uscito il quinto lavoro dei Kasabian, 48:13: un temporale estivo in piena regola, come quelli che abbiamo vissuto in queste settimane. Prima di ascoltarlo, un dubbio attanagliava la mia mente e spero non solo: il titolo dell'album era davvero la somma della durata di tutti i brani? Calcolatrice alla mano, ho verificato che fosse davvero così. Un'altra piccola curiosità è legata alla copertina, totalmente fucsia. Pare che il cantante Tom Meighan e il chitarrista Sergio Pizzorno lo scorso Aprile, indossando tute bianche, abbiano tinteggiato di rosa un muro di Londra, scrivendoci poi sopra proprio 48:13.

Ma cosa contiene realmente il quinto lavoro della band di Leicester? Il discorso appare subito complesso, ma si notano una serie di rimandi al cinema nei brani strumentali: in apertura “(Shiva)” ci regala un minuto di suoni distorti e synth che ricordano i film di Kubrick, mentre nel far west di “(Levitation)” e nel minuto di desolazione che accompagna “(Mortis)” è evidente il richiamo alle musiche del nostro Ennio Morricone. Con il secondo pezzo del disco si torna ai vecchi Kasabian. “Bumblebee” è un esplosione di rock già nei primi secondi di partenze ma con una inattesa base rap e un ritornello ossessivo. Sulla stessa linea è “Stevie”, il ribelle brano successivo: «'Cos it's no joke, no joke, I wanna open up your eyes wide, eyes wide, I feel it coming but you can't hide, can't hide, I wanna make you see life». Il primo singolo estratto da 48:13 è “Eez-eh”, ritmo trascinante ma video ancora più bello: Pizzorno balla a petto nudo, indossa maschere dei cartoon e mani giganti mentre Meighan si agita con occhiali da sole inguardabili e passeggia con animali impagliati, uno spettacolo irriverente. D'altronde a Gennaio i Kasabian avevano parlato chiaro: «L'album è un 'fottiti' a chiunque abbia osato criticarci o attaccarci, dicendoci che non possiamo fare musica di questo tipo. […] Abbiamo creato una pericolosa droga. È rock and roll, è brutale e tagliente, ma richiama anche l'elettronica che lasciammo a Letfield». La sobrietà non è da tutti. Ma il vero brano spacca-classifica molto probabilmente sarà “Glass”. Quello che sembra essere un coro da chiesa con base hip-hop e un po’ di elettronica, è invece un appello al mondo e agli uomini («come on and save from this world, tell me 'cause I need to know I'm not alone»), che si conclude con un lungo discorso letto dal rapper Suli Breaks: riferimenti storici e messaggi di salvezza. L'album si chiude con due brani lenti, “Bow” e “S.P.S.”, che per melodie e sonorità ricordano il britpop anni '90. Nel corso di questi anni, diverse volte il poliedrico Sergio Pizzorno ha dichiarato di ispirarsi a band come Oasis, The Stone Roses, Nirvana e perfino a David Bowie: nel disco appena uscito sembrano esserci proprio tutti.

Se proprio dovessimo cercare un difetto, è facile notare come manchi una ballata romantica  alla “Goodbye Kiss” o la carica di “Club Foot” e “Shoot The Runner”. Per il resto 48:13 ha centrato il suo obiettivo, attirare nuovamente l'attenzione mondiale sui Kasabian. Questa estate hanno già confermato la loro presenza al Festival di Glastonbury il 29 giugno e al Summer Sonic Festival in Giappone il 16 agosto, mentre il 31 Ottobre saranno a Roma e il 1° Novembre a Milano. Pienone assicurato come sempre.

(Kasabian, 48:13, Sony, 2014)

 

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