“Familiars” degli Antlers

di / 2 luglio 2014

Sono passati cinque anni da Hospice (Frenchkiss Records, 2009) e l’ombra della pietra miliare ancora si sente. Liberarsi dalla reminiscenza del capolavoro non è facile, ma i The Antlers hanno provato come loro hanno mostrato di saper fare, con eleganza e raffinatezza: nel 2011 è uscito Burst Apart (Frenchkiss Records/Transgressive Records, 2011) che modifica e traina il loro suono in evoluzione, ed ora Familiars (ANTI-/Transgressive Records, 2014). Il trio di Brooklyn è passato alla più grande casa discografica ANTI- dall’indipendente Frenchkiss, le cose si fanno serie, e Peter Silberman, Michael Lerner e Darby Cicci si prendono tutto il tempo per l’uscita di Familiars, anticipato da un criptico video su youtube dal titolo “”. Il video mostra delle scene minime dalla sala di registrazione e, tra gli effetti di suono, spunta un giro di accordi suonati da Cicci su un piano.

Questi accordi sono gli stessi che aprono l’opera. “Palace” è la prima traccia, una traccia programmatica, incisiva, in cui si sente che il disco sarà ancora una volta differente, qualcos’altro. Non parliamo di svolta ma di percorso: attraverso Burts Apart e il successivo EP Undersea, i The Antlers approdano ad una dimensione – per ora – sedimentata, in un dream pop da camera che a tratti ricorda i Grizzly Bear. Secondo pezzo è lo spettrale “Doppelgänger” e già serve più attenzione, non c’è spazio per un ascolto occasionale. Gli arrangiamenti non soverchiano ma accompagnano: piano, violoncello, trombone, contrabbasso, si mescolano e non spiccano, la voce di Silberman si fa lamento come da un’altra dimensione e la batteria di Lerner è quasi jazzistica.

I temi dei testi sono quelli dei preconcetti, dell’idealizzare il passato, del confronto con il presente – che sia anche questo un riferimento al loro passato, con Hospice?

Il vero punto di forza del disco sta, secondo me, nella poliedricità di Cicci: piano, organo, il Fender Rhodes, gli ottoni, i bassi, ha disegnato persino l’artwork di Familiars. Cicci dà forma solida a questo disco, lo rende concreto e complesso. Tutto è dosato magistralmente, anche nei pezzi facili come la ballade “Revisited”, e non ci si accorge neanche di tutto il lavoro che sta dietro a pezzi splendidi come “Surrender”.

Il disco ha dimostrato la maestria compositiva del trio di Brooklyn, è un disco unitario e possiede una certa grazia; allo stesso tempo è un disco da mezzofondisti, che apprezzi a pieno solo dopo averne colto tutte le sfumature, dopo il secondo o terzo ascolto, eppure non lascia impresso nessun marchio, nessun picco da ricordare per sempre, sulla lunga distanza. Forse è stato un errore mettere “Palace” in apertura, un pezzo che innalza il livello dell’ascolto e crea l’aspettativa di cose ancora più grandi all’interno del disco, per poi ritrovarsi invece con pezzi che ne inseguono lo spettro, che si somigliano; ottimi pezzi, capiamoci, ma che non staffilano – e, probabilmente, non intendevano farlo – e abitano quell’alto piano musicale evocato da “Palace”, senza creare disordini né scompigliare nulla.

(The Antlers, Familiars, ANTI-/Transgressive Record, 2014)

 

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