“I passanti” di Laurent Mauvignier

di / 4 luglio 2014

I passanti (Del Vecchio, 2014), titolo italiano per Ceux d’à côté, è un romanzo del 2002 di Laurent Mauvingnier, autore francese piuttosto premiato e ben considerato, non soltanto dalle sue parti, tanto dai favori dei lettori quanto da quelli degli interpreti di mestiere. Si tratta di un libro che sostanzialmente, come altri nella Francia degli ultimi tempi, mette al centro delle sue vicende narrate un brutto fatto di violenza di quelli che capitano tutti i giorni, e dappertutto. Stavolta però non si tratta di efferati ammazzamenti (come per esempio avviene in L’avversario di Emmanuel Carrère, Il banchiere di Régis Jauffret e Viviane Élisabeth Fauville di Julia Deck), ma di uno stupro: violenza perpetrata da un disadattato senza nome, dall’anima povera e dalle abitudini fisse, nei confronti di Claire, una giovane e presumibilmente dolce ragazza colpevole soltanto di aver frequentato una certa piscina cittadina.

Del fatto violento in sé, ossia dello svolgersi della terribile faccenda di prevaricazione di genere, dell’imposizione coercitiva di sgradevoli e sanguinose penetrazioni e altrettanto sgradevoli fiati sul collo, non si parla direttamente nel libro. Piuttosto gli si gira attorno in maniera moderatamente ellittica, anche elegante a dirla tutta. Lo stupro viene infatti soltanto evocato nelle pagine del libro, tramite l’alternarsi di due voci narranti (secondo lo schema battuto, per esempio, da Muriel Barbery ne L’eleganza del riccio) che vedono le cose della vita in maniera apparentemente assai distante eppure, come scopriremo leggendo, anche alquanto simile. Sicché la testimonianza dell’anonimo carnefice, nelle pagine de I passanti, si affianca a quella di una certa Catherine, vicina di casa della stessa deflorata Clarie, donna abbastanza insicura e apparentemente non molto entusiasta di stare a questo mondo.

Catherine e il carnefice, nel loro ragionare sulle cose che fanno la vita che è data da vivere agli umani, a partire dall’evento disonorevole della violenza carnale riflettono su ciò che costruisce il quotidiano, sull’essenza dei rapporti umani e sul peso dell’esistere traendone in conclusione la consapevolezza del morbido struggimento che sta nella solitudine urbana. Proprio grazie a questo alternarsi di voci, e a quanto esse ci dicono, I passanti appare come un’involontaria e mesta elegia invertita cantata all’insignificanza dello stare con gli altri, alla vacuità senza vero contatto di corpi che si amano che avvolge l’anima degli abitanti post-materialisti del nostro Occidente: gente per statuto abbandonata all’isolamento e all’emarginazione. I due narratori, come due poveri emuli di Schopenhauer metropolitani e secolarizzati, hanno soltanto una certezza che guida i loro passi nel tragitto terreno: l’essere umano è un animale molto solo, inadatto alla vita comunitaria, ai rapporti di coppia e a tutto il resto, a cui il fato ha riservato il più triste dei destini: piangere di sé, e farlo con costanza per di più. Ed è proprio in tal modo che i due procedono, nella narrazione e nella vita: come due passanti, appunto, che sfiorano i contemporanei, nascondendosi a essi e vivendo grosso modo nel sotterfugio e nel nascondimento. Così anche Clarie, la contumace violata, non può far altro che passare oltre, poiché purtroppo di soluzioni, a questo terribile stato delle cose, sembra non ce ne siano poi molte.

(Laurent Mauvignier, I passanti, trad. di Angelo Molica Franco, Del Vecchio, 2014, pp. 126, euro 13)

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