“Teoria idraulica delle famiglie”:
a tu per tu con Elisa Casseri

di / 20 novembre 2014

Sentimenti che scorrono come acqua nelle tubature di una vecchia casa, dove le emozioni si sedimentano come il calcare e ostruiscono le condutture che dovrebbero innaffiare un albero genealogico di una complessa famiglia fatta di persone che portano nomi di fiori.

Il romanzo d’esordio di Elisa Casseri, Teoria idraulica delle famiglie (Elliot, 2014) parla un po’ di questo, un po’ di ritorni a casa e di problemi irrisolti, ma anche di parole (s)composte, delle persone minuscolemaiuscole che entrano a far parte della nostra vita e del modo in cui i pensieri possono riempirci fino a farci traboccare. In quell’intricato gomitolo di affetti, sbagli, ansie e contraddizioni che è la sua famiglia, Iris è il recipiente nel quale si raccoglie ogni cosa, dove ogni problema può, forse, trovare comprensione, o almeno un rifugio temporaneo.

Le parole che ci conducono attraverso la storia di questa famiglia imperfetta appartengono a una lingua nuova, dove con una «chirurgia quasi fisica» vengono sezionate, studiate e cucite tra loro in un singolare, rifinito disegno, che trova nelle pagine di questo romanzo una compiutezza, a modo suo, perfetta: «Ti avrei insegnato a dire “compiutezza”, che è una parola che contiene tutte le vocali, ti avrei spiegato che non potevi non saperla. E poi ci sono due zeta: “Chissà quando ti ricapiterà di usare due zeta” avrei aggiunto».

Dopo essere riemersa dalle pagine sottolineate di fresco di Teoria idraulica delle famiglie decido di fare qualche domanda a Elisa Casseri, che qualcuno di voi forse ha già conosciuto leggendo il suo racconto “La geometria della notte”, apparso sul numero zero di effe – Periodico di Altre Narratività.

Una laurea in materie scientifiche ma un lavoro incentrato sulle parole e sui libri, un trasferimento da una piccola realtà all’enormità di Roma, un linguaggio, per certi versi, molto “ingegneristico”. Quanto c’è di Elisa nella protagonista Iris?

Come dice il mio amico Alessio Trabacchini: la grappa non si ricorda dell’alambicco o della vinaccia, la grappa quando diventa grappa è solamente grappa. La percentuale di Elisa presente in Iris è stata distillata, separata, purificata, filtrata attraverso un immaginario che è mio, ma che è stato messo al servizio di Iris.

La laurea, le parole, la provincia ci sono perché mi servivano a raccontare la storia che volevo raccontare. Per quanto riguarda la lingua, invece, quella non sarebbe esistita se non ci fossero stati gli anni di Ingegneria tra i romanzi che ho letto, le persone incontrate, i ricordi famigliari e le storie inventate; durante quegli anni la mia voce si è riempita di tramogge, rullette e reazioni vincolari.

E se queste cose fanno la vinaccia del processo alcolico che ha fatto nascere il libro e Iris è la grappa che ne è venuta fuori, a me rimane il ruolo dell’alambicco, che è, in pratica, un contenitore.

Questa è la cosa che io e Iris avremo sempre in comune: siamo entrambe dei contenitori collegati a valvole di ritegno, siamo entrambe sempre sul punto di tracimare.

Come scrivi a un certo punto, nella nostra esistenza ci sono persone maiuscole e minuscole, e dei parametri per distinguerle. Sono persone identificate dal corsivo. Nel tuo romanzo la struttura del linguaggio sembra spesso un modo per razionalizzare gli eventi della vita e tentare di risolvere le difficoltà. Pensi che nella “vita reale” questa tecnica possa funzionare?

Non credo possa funzionare, no. E, infatti, alla fine dei conti, non funziona nemmeno nel romanzo. Non c’è nessuna tecnica, nessuna razionalizzazione, nessuna scappatoia: le persone arrivano nella tua vita e sono lì, che tu lo voglia o no; le cose che ti succedono senza premeditazione non sono sempre sbagliate così come quelle che fai succedere tu non sono sempre giuste; la verità è funzione del tempo, non è assoluta, non è stabile, si cambia i connotati.

Teoria idraulica delle famiglie, infatti, non è un romanzo di formazione, ma un romanzo di deformazione. Iris si deforma per cercare di liberarsi; e come lei, anche Ortensio, Margherita, Verbena, Miriam, Flora, Giovanni, Luigi e tutti gli altri affrontano le loro persone maiuscole, le minuscole, il corsivo di alcuni sentimenti e la cancellatura di altri.

«Le parole non sono un tentativo, sono una tentazione», scrivi a un certo punto, proprio quando Iris si appresta a riscrivere per nonno Giovanni un documento privo di valore legale ma ricco di valore affettivo. Ci dici qualcosa in più su questa “tentazione”?

Il nonno di Iris, Giovanni, ha un terreno che per lui è un rifugio, ma quel terreno non gli appartiene legalmente, gli è stato donato da Mancini Pasquale in seguito a una scommessa su chi dei due sarebbe riuscito a sposare Flora, la nonna di Iris. Giovanni ha paura che Mancini Pasquale torni sulla sua decisione o che qualche erede, dopo la sua morte, arrivi a reclamare quel pezzo di terra, quindi, non appena Iris impara a scrivere, inizia a farle redigere dei finti atti di vendita.

Nelle pagine in cui è presente quella frase, Iris e suo nonno sono in campagna, proprio nel terreno di Mancini Pasquale: lei è appena tornata a casa e lui sa che le serve un punto di partenza, un appiglio da cui iniziare a districare le cose, quindi fa la punta a una matita e le dice «Scrivi», riferendosi all’atto di vendita. Anzi le dice: «Riscrivi».

Le parole sono per Iris quello che per suo nonno è quel terreno: un rifugio; le possiede, anche se non le appartengono legalmente. Nonno Giovanni le dà la matita per offrirle una possibilità, per farle fare un tentativo, ma lei ha paura di trasformarlo in una scappatoia, in un atto finto, nello stesso nascondiglio di sempre. In quel momento, per lei, le parole sono una tentazione.

C’è una figura costante nei pensieri e nella vita di Iris: quella di zia Petunia, che muore ogni volta in un modo diverso. La sua quasi-presenza lascia tante cose in sospeso: Ci racconti qualcosa su questo personaggio e sui significati che gli hai attribuito?

Zia Petunia ha due funzioni in questa storia.

Innanzitutto è la rappresentazione fisica del dolore di Iris: muore tutte le volte che lei soffre. Esiste e non esiste, è consolatoria o devastante, a volte si ingegna per morire e altre volte si abbandona alla morte: ha l’ambivalenza del dolore.

Ma, oltre a morire, zia Petunia risorge. Risorge tutte le volte perché, se non ci fosse quella resurrezione, non potrebbe tornare a morire: segnando i limiti della sofferenza, diventa anche un personaggio di speranza.

In secondo luogo, zia Petunia racconta la nascita dell’immaginario di Iris: a partire da un ricordo famigliare confuso e mistificato, da una zia che non si sa se è realmente vissuta, Iris crea una persona, un personaggio che esiste solo se lei lo immagina, solo se lei lo racconta.

Riprendendo l’esempio della distillazione: zia Petunia è la grappa di cui Iris è l’alambicco.

Tornando a Iris, questo è anche il tuo nome d’arte (nonché voce fuori campo) nel tuo blog Memorie di una bevitrice di Estathè, dove c’è molto di te ma anche qualche traccia della Iris del libro. Che progetti hai per Iris? Continuerà ad essere protagonista della tua scrittura?

Ho conosciuto una Iris, una volta, la nonna di un mio ex fidanzato: era stata una donna attivissima, in gioventù, ma quando l’ho incontrata io, si era stancata di tutto, non faceva altro che stare seduta nella cucina di sua figlia a leggere. Leggeva e rileggeva. E basta.

«Mi spiace che ci siamo conosciute così tardi», mi ha detto, per giustificarsi del fatto che non mi dedicava alcun tipo di attenzione.

Mi ha colpito così tanto che mi sono rubata quel nome e l’ho dato alla mia protagonista (era il 2011 quando ho iniziato a scrivere il libro).

Quando poi, nel 2012, a Scritture Giovani Cantiere del Festivaletteratura di Mantova, io e gli altri aspiranti scrittori selezionati abbiamo deciso di aprire un blog (La banda della tisana), la regola era che dovevamo avere nomi di erbe. Non potevo che essere Iris Versicolor.

Sono diventata subito molto produttiva, forse troppo, quindi mi sono trasferita in un altro spazio, solo mio, una specie di spin off (infatti il nome completo è Memorie di una bevitrice di Estathè. Come sono diventata il Giuda degli apostoli della Tisana). Il blog è un blog umoristico che racconta la mia vita vera, quella goffa e divertente, quella che non finirà mai in nessun romanzo.

Iris e Iris Versicolor non sono la stessa persona, ma sono entrambe molto attive all’interno della mia vita: non so che fine faranno, che fine faremo, so solo che, almeno loro, le ho conosciute quando non era ancora troppo tardi.

(Elisa Casseri, Teoria idraulica delle famiglie, elliot, 2014, pp. 250, 16,50 euro)

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