“La divina” di Sergio Pitol
Fallimenti e comicità di un antieroe picaresco
di Carlotta Colarieti / 30 gennaio 2015
Le karakuri-bako sono scatole giapponesi apparentemente inespugnabili, la cui apertura è consentita solo a chi, armato di pazienza e dedizione, compia le mosse necessarie a eludere i loro meccanismi di difesa. Che si tratti di scatole minute da cinque mosse o di scatole ingombranti e complesse da cento e più, la prassi non cambia: per scoprirne il contenuto bisogna muovere i tasselli. Questo è ciò che rende speciali le karakuri-bako ed è proprio per questo che, se fosse un oggetto, La divina (SUR, 2014) di Sergio Pitol non sarebbe né una matrioska, né uno scrigno o un baule, ma certamente una bako.
Ne La divina il gioco dei meccanismi inizia con il prezioso bugiardino delle istruzioni: quelle di Tabucchi e Gadda soprattutto, che ci intimano di diffidare di tutti quegli autori che non diffidino dei propri personaggi. La premessa è necessaria.
Innanzi tutto c’è un vecchio scrittore che decide di sostituire i suoi consueti personaggi tragici, eroici, drammatici, così prevedibili, con l’ambiguità esilarante di Dante de la Estrella, mediocre, borioso e codardo, magnificente nella propria inaspettata ambiguità.
Ed è proprio questo suo personaggio, di cui non si può che diffidare, a conquistare la scena nel resoconto (assolutamente fazioso) del terribile viaggio intrapreso alla conquista della misteriosa Marietta Karapetiz, anziana e mistica vedova del grande antropologo Karapetiz, in un avvicendarsi picaresco di riti orgiastici, esotismo e oscenità perniciose.
I tasselli allora si muovono, il meccanismo narrativo si schiude come il dorso del libro tra le dita di chi legge; ma come la più inespugnabile delle bako, la prospettiva della storia cambia nuovamente. Ecco il lettore pronto a ricredersi e a proseguire, con uno sguardo nuovo, nella labirintica trama di Pitol.
Dante de la Estrella è in primo luogo un camaleonte, che di volta in volta assume tutte le tonalità di colore che la letteratura e la vita consentono alla negatività: dal verde dell’invidia al rosso della rabbia, è un antieroe incompiuto e un personaggio comico compiutissimo. Le battaglie personali intraprese dal protagonista contro affronti immaginati e un senso dell’onore dai discutibili connotati morali, se da una parte possono riabilitarlo alla carica di novello Don Chisciotte, dall’altra lo rendono innocuo e spassoso agli occhi dei più, come succede a tutti quei “cattivi” che veramente cattivi non sono mai.
Con La divina, dunque, il lettore si troverà a praticare un gran numero di mosse, i tasselli lo confonderanno ma, a differenza delle karakuri-bako, egli non si accorgerà nemmeno, tra la comicità e l’imbarazzo abilmente provocati da Pitol, di aver compiuto tali movimenti, se non alla fine, quando sarà giunto al più inatteso dei contenuti.
(Sergio Pitol, La divina, trad. di Francesca Lazzarato, SUR, 2014, pp. 160, euro 15)
LA CRITICA
Un voto felliniano per un piccolo capolavoro letterario che saprà coinvolgere chiunque con un ritmo incalzante e un umorismo superbo, pur non perdendo le caratteristiche di una scrittura pregevole e ricercata.
Comments