“Millimetri”
di Milo De Angelis

Un volume di cinquanta pagine per chi ha la pazienza di leggerne duecento, e forse anche di rileggerle

di / 26 febbraio 2015

Millimetri, di Milo DeAngelis, è stato ripubblicato nel 2013 da ilSaggiatore fra le Silerchie, collana storica (ne avevamo parlato con Serena Casini in un’intervista) rilanciata ultimamente che annovera opere e personaggi poco avvicinabili (Vinicio Capossela, Vittorio Sereni, Pussy Riot), ma d’altra parte è evidente che la ratio sia un’altra che non la coerenza. Alcune poesie di questa breve raccolta, appena una cinquantina di pagine, anche se alcuni “scartafacci” fotocopiati ne aumentano un po’ il numero, sono apparse con varianti in Poesia degli anni settanta (Feltrinelli, 1979), ma la raccolta in volume risale al 1983, trent’anni fa. Si tratta dunque di un campione poetico del periodo fra la fine dei Settanta e i primi Ottanta.

Quello che succede con Millimetri, a detta di Giuseppe Genna e Aldo Nove, firmatari della postfazione, è l’apertura di un mondo nuovo, perché deliberatamente, per tecnica, ogni tipo di comprensione logica è del tutto esiliata da questi versi.

Ci sono alcune caratteristiche che attirano l’attenzione sul disegno generale, per esempio il fatto che i titoli delle poesie, generalmente di media lunghezza, ricalcano il primo verso. Già da questo gioco metatestuale comprendiamo come Millimetri sia un libro che vuole costruirsi tale, in un gioco estremamente malizioso. La necessità probabilmente era quella di confrontarsi con un’attualità che si era portata alle estreme conseguenze dell’esaurimento del Novecento, nella fine del senso ultimo che anche il nulla aveva offerto. Caproni (di cui abbiamo parlato qui) dunque, ma soprattutto Sereni (che abbiamo presentato qui), il quale si può considerare, anche per ragioni geografiche, il maestro di De Angelis, e la cui voce, soprattutto quella di Stella variabile ma anche della precedente Gli strumenti umani ancora si sente fra queste pagine, insieme a una profondissima eco montaliana, nel solco del quale si innesta la tradizione più forte a lui successiva.

Vengono così a inanellarsi una serie di immagini oltre il surrealismo, non oniriche, prive di allusività, in cui si innesta un ragionamento sul suono della parola non come suono, ma come senso. Malizia e paradosso sono movimenti importanti in questa che non è una raccolta priva di sostanza. La sostanza tuttavia va cercata fra i vari inganni che De Angelis, in maniera casuale, sparge fra i versi, dando l’impressione di andare a capo “a caso”, e seguendo invece una metrica tutto sommato riconoscibile, chiusa, in cui si ritrova un brusio di fondo che a quest’altezza è ormai un suono codificato.

Questo rende Millimetri un libro più conservatore di quanto non farebbe pensare la sua apparenza avanguardistica. Si tratta in realtà di un libro non-avanguardistico, anti-avanguardistico, quasi reazionario. De Angelis gioca con la reazione raggiungendo picchi alti, creando versi come: «qui, dove muore il coro, un’imboscata / fende l’uovo in parti sonnambule, / piccole tombe con gli equilibristi / che cadono nella piantagione».

Arriva così a mettere un piede oltre la rottura del senso non solo logico ma anche grammaticale, rompe il muro del significato e torna subito indietro, facendo finta che l’irreparabile non sia accaduto, mascherando un’operazione apocrifa dentro un’altra operazione “accettabilmente apocrifa”. Questo è uno dei pregi maggiori del libro, che fanno esclamare al giovane Aldo Nove: «La poesia è una cosa pazzesca!», coinvolgendo una piccolissima parte dei suoi compagni di viaggio sul bus verso scuola.

La tesi che si intuisce nella logica della riproposizione è quella di un aggiornamento di valore che possa attribuire un senso storico a Millimetri, la seconda raccolta dell’autore.

Sicuramente questo è un libro consigliabile a chi legge poesia, perché se non altro può essere considerato un campione abbastanza fedele dell’ultima tradizione italiana, e ha un valore documentario che non gli si può negare. Ma sul valore artistico assoluto c’è forse da discutere. Non si può prescindere, per esempio, dal fatto che De Angelis deliberatamente faccia un canto in minore, con l’attribuirgli oggi un supposto ruolo di guida. Sono versi, dunque, che non bisogna fare l’errore di sopravvalutare, ma che evidentemente vanno conosciuti. Uno dei rischi collaterali di Millimetri, infatti, è quello di far allontanare il “lettore comune”. È questa una poesia respingente che alimenta volutamente tutti i luoghi comuni che circolano su di sé.

Nella prefazione di Millimetri vengono dette due cose vagamente comiche, la prima è che De Angelis sia una delle voci più importanti della poesia contemporanea «dopo la scomparsa di Fortini e Zanzotto»(!), e l’altra, con un fondo di verità, è che ci troviamo in presenza di un capolavoro sfiorato, un’occasione mancata, che per non essere oggi doppiamente mancata deve essere ben indirizzata. E forse l’indirizzo più opportuno è quello di consigliare queste cinquanta pagine a chi ha la pazienza di leggerne duecento, e forse anche di rileggerle.

(Milo De Angelis, Millimetri, ilSaggiatore, 2013, pp. 78, euro 12)

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio