“Tungsteno”
di César Vallejo
Una storia di violenza e sfruttamento nel Perù del primo Novecento
di Livio Santoro / 9 marzo 2015
Quando, ancora al giorno d’oggi, ci riferiamo ai popoli nativi dell’America Latina con il nome collettivo di indios, non facciamo altro che perpetrare un antico atto di violenza coloniale. Perché tale riduzione, che ha adattato sotto un unico nome popoli e culture anche estremamente dissimili tra loro (si pensi per esempio soltanto agli aztechi, ai quechua, ai guaranì), trova il suo originario scopo nella creazione di un termine oppositivo tramite il quale noi europei (prima) e noi occidentali (dopo) abbiamo potuto formalizzare in maniera piuttosto comoda la questione della razza, elemento cardine a fondamento dell’impresa coloniale. A questa riduzione sottendeva e sottende la necessità di appiattire e livellare su un unico modello un’estrema varietà di manifestazioni umane, necessità che a sua volta è vissuta e vive in ragione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Perché tutti quei popoli a cui, proditoriamente, da questa parte di mondo è stato dato il nome di indios dovevano essere identificati senza troppe storie in un’immagine di sintesi da inserire in quelle scale evolutive di matrice comtiana grazie alle quali, per secoli e spesso ancora ai giorni nostri, è stata giustificata l’asimmetria del dominio dei razionali, degli illuminati e dei moderni sui selvaggi, sugli illetterati e sui primitivi. Sono proprio questi selvaggi, illetterati e primitivi i protagonisti principali (e gli ideali destinatari) di Tungsteno, romanzo del peruviano César Vallejo (SUR, 2015), uomo che ha vissuto sulla propria pelle meticcia la sofferenza e lo sfacelo dell’impresa coloniale, amico del filosofo marxista José Carlos Mariátegui, poeta e scrittore la cui anima e i cui occhi sono stati testimoni di cose molto orribili.
Pubblicato per la prima volta nel 1931, forte di una prosa sensazionale che incastona superiori baleni di lirica all’interno della trama romanzesca, Tungsteno ci trascina nell’aspro scenario andino del Perù del primo Novecento, in cui un’impresa statunitense di estrazione mineraria, la Mining Society, con il benestare del governo e delle élite locali assolda moltitudini di nativi a suon di bastonate, ratti furibondi e salari evanescenti. Per estrarre i suoi minerali, che saranno poi impiegati a scopo militare per l’industria degli armamenti statunitense, la Mining Society tormenta i corpi dei nativi e violenta la terra che li ospita, scavandola in profondo, allargandola nelle sue fessure, spingendo e spingendo quanto più possibile, come un fallo ostinato e per nulla romantico che, accecato dalla cupidigia, dalla brama di dominio e di possesso nonché da una sconsiderata tracotanza piuttosto prosaica, non voglia sentire ragioni che lo distolgano dal suo obiettivo, dal raggiungimento del suo terribile orgasmo (parallelismo d’altronde proposto dallo stesso Vallejo in uno straziante episodio del romanzo in cui gli uomini della Mining Society, bevendo di gusto e sganasciandosi dalle risate in sacrificali e festevoli libagioni, stuprano collettivamente fino alla morte una giovane nativa, selvaggia e illetterata come i suoi simili, una donna che ovviamente non avrà giustizia nemmeno da morta).
Tungsteno rappresenta un perfetto compendio dell’impresa coloniale, un quadro che non indugia mai sul facile patetismo ma che affronta la questione dello sfruttamento con una fortissima tensione etico-politica che, per quanto presente in ogni parola del narrato, non adombra di certo la bellezza sublime della prosa di Vallejo. Tungsteno è un romanzo in cui riluce la cupezza della cieca indifferenza con cui alcuni, i moderni, appunto, i razionali, gli apostoli della scienza, i disincantati, hanno devastato terre e culture allo scopo di rendere tutto più noioso e senza dubbio più feroce.
(César Vallejo, Tungsteno, trad. di Francesco Verde, SUR, 2015, pp. 144, euro 15)
LA CRITICA
Leggere Tungsteno rappresenta un esercizio fondamentale per noi occidentali di oggi, giudici autoeletti di un mondo a geometria variabile, troppo spesso intenti a guardare soltanto al futuro senza dare molta importanza alle rovine che ci siamo lasciati spalle. Leggere Tungsteno, questo va pure detto, è un esercizio fondamentale anche per chi ama senza condizioni la letteratura bella, quella davvero superiore, a Occidente come altrove.
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