Ostaggio del romanzo, in nome della bibliodiversità

Intervista a Marco Belli, autore di "Il romanzo dell'ostaggio"

di / 1 ottobre 2015

Ostaggio del tempo, della placida monotonia di una città di provincia, della solitudine dopo un amore perduto, l’esistenza del Prof. Massimo Fronte – Max per gli amici – precipita bruscamente un tranquillo pomeriggio di inizio estate.

Le parole si ispessiscono a tal punto da divenire una minaccia reale e la noia inquieta che fino ad allora ha dominato la sua vita assume inaspettate tinte noir. Incurante del fragile limbo esistenziale in cui Max si dibatte, solo lo sferragliare dei treni sembra rimanere fedele a se stesso.

L’inchiostro scarlatto di una lettera anonima rende Max un prigioniero impotente, imbratta il suo animo sporcandolo di sospetti e paranoie. Completamente in balìa del piano architettato dal suo crudele Sequestratore, la piazza quadrata del centro storico si trasforma in una cella a cielo aperto dove recarsi ogni giorno alle 17 in punto per scrivere. Ed è la paura, quella che attanaglia e fa contorcere le viscere, che fa muovere la penna di Max fino a fargli riempire un intero quaderno, fino a farlo traboccare di personaggi e voci. Un intreccio di vite immaginate ed incontri reali trasformano il suo romanzo in un best seller nazionale. Come si sa, però, c’è sempre un prezzo da pagare per il successo e nessuno, neppure Max può sottrarvisi.

Un epilogo inatteso, intriso di speranza frenetica per un improbabile lieto fine, chiude il cerchio narrativo rivelando ai lettori una verità insospettabile.

Parliamo di Il romanzo dell’ostaggio (Koi press, 2015), di Marco Belli, al quale abbiamo rivolto qualche domanda.


Da professore precario a ostaggio dell’urgenza – in questo caso tutt’altro che metaforica – di scrivere un romanzo. Dove nasce l’ispirazione per Max Fronte?

Il ritratto del protagonista è in parte autobiografico. Sono un insegnante di scuola superiore come Max e mi piacciono i bar e il vino come al personaggio dell’Ostaggio. Scrivo spesso come il prof. Fronte, seduto a un tavolino di un bar, molti esami dell’università non li ho preparati in aula studio, ma davanti a un buon bicchiere di vino. Forse non avrei mai terminato di scrivere il libro se un incidente stradale non mi avesse costretto a letto per quindici giorni. Ostaggio del mio corpo, poi ostaggio del romanzo.


Dalle pagine del romanzo trapela con forza una passione profonda per il vino, la fotografia e la letteratura. Cos’altro c’è di te in questo romanzo?

Da qualche anno sono diventato sommelier, ma la passione per il vino e il territorio era già esplosa durante la mia adolescenza, a quei tempi però bevevo molto peggio rispetto a oggi. La fotografia accompagna la mia vita da ormai quindici anni (tutto iniziò con l’acquisto di una Seagull 6×6 in un mercatino dell’usato di Bucarest), ho lavorato con lo scrittore Lorenzo Mazzoni a due romanzi noir dove immagine e parola si incontrano. E poi la passione per la letteratura e l’editoria. Molti degli autori citati nei misteriosi biglietti del Sequestratore sono scrittori o filosofi che hanno fortemente influenzato la mia vita. Poi c’è il mestiere di editore, che all’interno del noir ritorna con forza: nel 2008 ho fondato insieme a un gruppo di amici Linea BN Edizioni, ora sono presidente di Meme Publishers, una casa editrice digitale italo-francese.


Dedichi un intero capitolo alla piccola libreria Omero, prezioso custode di libri pubblicati da case editrici indipendenti, il richiamo dunque alla bibliodiversità come necessità culturale è evidente. Qual è secondo te il ruolo attuale dell’editoria indipendente in Italia?

Un ruolo importantissimo, credo che l’editoria indipendente debba continuare a farsi promotore del concetto di libro come bene pubblico a fronte di uno Stato italiano che fa poco o niente per incentivare la lettura attraverso programmi di sistema poco efficaci. Una sinergia tra scuola, piccoli comuni e editoria indipendente potrebbe essere un’avventura culturale innovativa e avvincente.


Lo scorso luglio si è svolto l’Elba Book, festival dell’editoria indipendente, che ti ha visto impegnato in prima persona in qualità di direttore artistico. Cosa ha significato per te questo progetto?

Un’esperienza entusiasmante. Abbiamo avuto più di 2000 presenze alla prima edizione in un comune molto piccolo come Rio nell’Elba. Sono stati tre giorni di incontri tra editori e lettori, tavole rotonde molto seguite sia dai Riesi che dai tanti turisti presenti, concerti jazz e numerose presentazioni di libri indipendenti. Tre giorni per portare alla ribalta le piccole realtà editoriali e disegnare strategie per la valorizzazione delle case editrici piccole e medie, della bibliodiversità appunto, e per la tutela del lavoro.


Cosa ha in serbo per te il futuro? Continuerai a dedicarti alla scrittura?

Il mestiere di editore e la direzione artistica di Elba Book occupano molto tempo della mia giornata, ma ci sto prendendo gusto a pensarmi anche come narratore di storie. Sto scrivendo un nuovo romanzo noir ambientato tra Ferrara, la mia città d’origine, e il Polesine. Sarà il primo di una serie che avrà come protagonista una detective donna un po’ fuori dagli schemi.

 

(Marco Belli, Il romanzo dell’ostaggio, Koi press, 2015, pp 116)

 

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