“I Melrose”
di Edward St Aubyn

Un saga familiare crudele, uno sguardo spietato sull'Upper-class inglese

di / 5 ottobre 2015

Nei quattro romanzi di St Aubyn raccolti in I Melrose (Neri Pozza, 2013), realtà e finzione sono impossibili da separare. Dalla precisione clinica e comportamentale delle sue narrazioni traspare l’esperienza personale dell’autore; i ritratti dei genitori di Patrick rispecchiano le caratteristiche di quelli di St Aubyn: David Melrose, padre sadico e narcisista, Eleonor, madre sottomessa e passiva che finge di non sapere dei dolori fisici e morali che il marito infligge al figlio. Patrick, il protagonista, dai cinque agli otto anni è stato vittima di abusi sessuali da parte del genitore, abusi che vengono raccontati nel primo romanzo Non importa.

Nella saga di St Aubyn le descrizioni minuziose degli eventi riflettono l’appello a una ricerca assoluta della realtà circostante; risaltano l’accuratezza e i dettagli nelle descrizioni, riguardo ai luoghi e ai personaggi, come a voler rappresentare la realtà evidenziandola, quasi a supplicarla di esistere. La scrittura ha quasi il dovere di rappresentare la realtà, arrestare la confusione, dove la realtà circostante è vista come unica certezza da tenere in vita.

Concettualizzare un’esperienza di dolore, di paura, di disperazione, consente di associare il sollievo che deriva dalla scarica motoria con quello dell’elaborazione psichica. Tanto più il dolore sembra devastare quanto meno si riesce a padroneggiarlo per mezzo delle parole e del linguaggio.

La saga I Melrose, come dicevamo, raccoglie quattro romanzi: Non importa; Cattive notizie; Speranza; Latte materno – che nel 2011 è stato adattato al grande schermo dal regista Gerald Fox. L’ultimo capitolo che termina la saga Lieto fine, è stato pubblicato separatamente. Ognuno di questi romanzi racconta, in un lasso di tempo molto circoscritto, un momento fondamentale della vita del protagonista.

La narrazione è in terza persona. Questa scelta, probabilmente, è fondamentale per St Aubyn per distanziarsi dall’orrore degli eventi – in parte – vissuti, perché come sostiene l’autore:«Se vuoi scrivere qualcosa di veramente intimo, scrivi in terza persona».

Nei romanzi di St Aubyn la funzione della scrittura è quella di allontanare l’angoscia e lo smarrimento; è l’autore a dire che, prima di scrivere Non importa, voleva suicidarsi, e che nella stesura del libro pensava a due possibili vie d’uscita: terminarlo o ammazzarsi. In Non importa Patrick è vittima di violenze fisiche e di un abuso sessuale, e l’intero romanzo sembra che ruoti intorno a questo racconto. In Cattive notizie il protagonista ha ventidue anni, è un tossicodipendente che si reca a New York per raccogliere le ceneri del padre; in Speranza l’intero romanzo si svolge in una festa presso una nobile dimora nel Gloucestershire e, Patrick è un ex tossico che osserva disgustato il suo status sociale e inizia a prendere consapevolezza del suo impulso autodistruttivo. È ormai un quarantenne spostato e infelice nel penultimo romanzo, Latte materno, la cui madre morente ha deciso di lasciare la sua eredità a una fondazione New Age, tradendo definitivamente la fiducia del figlio.

Nell’ultimo romanzo, Lieto Fine, Patrick partecipa ai funerali della madre e in una sorta di illuminazione gli appare una verità: lui, figlio ferito irrimediabilmente dal padre, è stato solo una vittima della relazione sadomasochista tra i suoi genitori.

Con una prosa che ricorda Wilde e Waugh, St Aubyn riesce a descrivere l’Upper-class inglese in uno stile classico e contemporaneo insieme, dove il racconto autobiografico ne ricama l’essenza.

 

(Edward St Aubyn, I Melrose, trad. di L. Briasco, Neri Pozza, 2013, pp. 730, euro 19)

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