“Orgasmo a Mosca”
di Edgar Hilsenrath

Un libro che farebbe felici i Monty Python

di / 28 aprile 2016

Orgasmo a Mosca copertina libro su Flanerí

In Russia «arrivò senza palle, ma con un piano» perché Karl Schnitzel – lo specialista ingaggiato dal mafioso italoamericano Nino Pepperoni – era stato castrato in America. C’è da capirlo: il boss malavitoso mica poteva rischiare che il risolutore violentasse l’uomo che aveva messo incinta la sua unica figlia. Potenzialmente Schintzel, gay dichiarato, aveva tutto il tempo per farlo là in Russia, dove non era una bazzecola far «esfiltrare» qualcuno guardato a vista dal regime comunista.

Orgasmo a Mosca di Edgar Hilsenrath (Voland, 2016) ha una trama che ricorda alcune pochade, ma con un incedere assolutamente cinematografico. Se non fosse che Hilsenrath, scrittore ebreo, non avesse vissuto l’orrore della Shoa sulla propria pelle. È proprio questo dato di fatto che continuamente fa riflettere il lettore. E che si trasforma, quindi, nella pietra angolare per inquadrare al meglio una storia che dissacra in prospettiva temporale qualsiasi regime – all’epoca americano e russo – qualsiasi prospettiva sessuale – eterosessuale e omosessuale – e perfino qualsiasi legame, naturale o acquisito.

L’editore indipendente Voland decide di pubblicare un libro che all’epoca ebbe difficile pubblicazione. E c’è da credere al fatto che nessuno agevolò l’uscita di questo romanzo. Chi avrebbe pubblicato, per esempio, un Chuck Palahniuk 150 anni fa? Hilsenrath è proprio un autore nato postumo. Si diverte a fare da padre ad altri scrittori e lo fa da una prospettiva – col senno di poi – di padre. Un padre che non può che abbandonare i figli illegittimi al proprio destino.

Per esempio: Myra Breckinridge di Gore Vidal ricorda molto i vizi e il cadenzare di Orgasmo a Mosca; certi lavori teatrali di Eugene Ionesco sembrano saccheggiare alcuni dialoghi presenti nei suoi romanzi; pure Beckett col suo L’ultimo nastro di Krapp sembra averci fatto un pensierino alla lettura di questo autore.

Transfuga delle lettere, Hilsenrath – nel romanzo – si diverte anche a ironizzare sullo stato di Israele. Non c’è nulla che non sia dissacrato, non c’è argomento che non sia impallinato, non c’è ideologia politica che si salvi dalla sua verve che sembra bonaria ma che è feroce, diretta, cattiva.

La chiusa del romanzo – una specie di on the road che miscela culture e personaggi di ogni risma – traccia un percorso narrativo che esonda dalle pagine per consegnarsi a un terreno molto indicativo. Perché l’orgasmo, per esempio, non è che si consuma solo a Mosca. O forse sì. Perché l’orgasmo perfetto rimane un mistero tutto mentale e tutto fisico.

Quindi, prima di arrivare per esempio a Gang bang di Pahalaniuk, leggete questo volume: potreste scoprirci un sacco di cose che fanno ridere, chiassosamente, anche se siete in treno e state leggendo in uno scompartimento silenzioso di prima classe, ovviamente.

(Edgar Hilsenrath, Orgasmo a Mosca, trad. di R. Gado, Voland, 2016, pp. 281, euro 16)

 

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LA CRITICA

Edgar Hilsenrath ci propone un on the road che farebbe felici i Monty Python. La storia di un orgasmo, in epoca femminista, diventa il contraltare piacevole di una maternità esistenziale.

VOTO

8/10

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