“Music Complete” dei New Order

Cosa sono, nel 2016, i New Order?

di / 2 maggio 2016

Music Complete

L’altra volta  Black Star di David Bowie ha messo tutti d’accordo. Ora Alessio Belli, Valerio Torreggiani, Tommaso Di Felice e Luigi Ippoliti si danno battaglia su un album uscito diversi mesi fa, Music Complete dei New Order. Dopo esser stato motivo di scambi di idee molto accesi durante alcune riunioni redazionali, i Nostri si sono accorti che, nonostante fosse un lavoro po’ datato, avrebbe dovuto essere necessariamente argomento di discussione all’interno de IlProcesso. Music Complete è un album sopravvalutato o sottovalutato? O semplicemente valutato nella maniera giusta?

AB: Ora, mettiamo il caso che i New Order non siano una delle band più importanti della storia della musica recente. Facciamo finta che con “Blue Monday” non abbiano coniato una decade, uno stile e una cultura , che un album come Power, Corruption And Lies non abbia mostrato la via di unione tra il rock e le macchina. Sorvoliamo sul mito, le icone, tutte le storie fin dai tempi dei Joy Division e un amore smisurato che dura da parecchie decadi. Valutiamo solo questo: il 25 settembre 2015 è uscito il loro decimo disco battezzato Music Complete (con copertina di Peter Saville, ovviamente). Ascoltatelo e innamoratevi: i New Order sono più vivi che mai: nonostante i problemi privati e la poco serena dipartita di Hook. Music Complete è un disco vivo, energico, ispirato, irresistibile. Almeno per il sottoscritto, sentiamo comunque gli altri.

VT: Non che questo ruolo mi piaccia più di tanto, ma devo per forza andare controcorrente. Quindi, non me ne vogliano i fan accaniti, i nostalgici dei bei vecchi tempi andati, le nuove folle indie del revival post–punk, o l’amico Alessio Belli: ma il nuovo disco dei New Order è davvero un album mediocre. Non c’è un’idea nuova che è una: non un passo avanti, non uno spunto creativo. Avranno anche fatto un pezzo di storia della musica – forse non così grande come si sostiene in giro, ma questi son dettagli – , ma una prerogativa dei grandi è anche, secondo me, capire quando è l’ora di smettere. Se, quindi, come suggerisce Alessio, sorvoliamo sul mito, sulle icone e su tutto il resto, quello che ci ritroviamo per le mani è, in fin dei conti, una minestrina riscaldata piena di deboli motivetti synth–pop piatti e prevedibili. C’è a chi piace così, dirà qualcuno. Forse sì: in fin dei conti il già detto non spiazza e non delude mai.

TDF: Allora, facciamo un attimo il punto della situazione. Perché siamo passati dalla totale approvazione di Alessio al, quasi, disgusto di Valerio. Credo che, giunti a questo punto, dobbiamo cercare di essere più cauti. Music Complete è la sintesi di tre decadi, trent’anni che hanno avuto come protagonisti anche i New Order. Nell’album c’è il synth-pop degli anni ’80, marchio di fabbrica della band, l’acid house del decennio successivo e poi gli anni 2000, pop–dance e rock inglese. Il disco scorre molto bene, lineare: un brano su tutti, “Plastic”; un po’ noiosa “Tutti Frutti”, anche se resta tra le più ballabili. Come dicevo, l’album risulta piacevole perché l’elettronica suonata è di grande intensità ed è coinvolgente. La vera sorpresa rimane però il funky “People On The High Line”. Non è da tutti rimanere sempre al top della forma. Sono due i punti sui quali non si può transigere: i New Order sono un’icona di un certo tipo di fare musica e hanno rinnovato ancora una volta il loro stile, perfezionandolo e adattandolo. Ma Music Complete rimarrà nella storia oppure no? Parola a voi, perché io al momento non sono in grado di rispondere. E se ripenso a “Blue Monday”!

LI: Mi trovo completamente d’accordo con l’interpretazione di Valerio. Ci sono alcuni momenti nella vita, dopo anni di onorata carriera, in cui bisognerebbe capire che ciò per cui hai vissuto, e che ti ha fatto vivere, forse è giunto al capolinea. Momenti in cui, guardando cosa e quanto hai fatto, dici “va bene così, basta”. Purtroppo ci sono casi in cui (alcuni, anche se con sfumature leggermente diverse, precocissimi, vedi Muse) l’ostinazione nel non rassegnarsi al fatto che il proprio tempo è finito – a maggior ragione dopo dieci album in quasi quarant’anni – rende il un po’ tutto grottesco e patetico (penso, ad esempio, all’orribile “Tutti Frutti”). Ufficialmente, è chiaro, non esistono orologi bio–musicali per cui un gruppo ha l’obbligo di ritirarsi. Parlassimo di sport sarebbe più facile. Ma ascoltando Music Complete, ho avuto la netta sensazione che un ipotetico limite dettato da questo orologio fosse stato valicato. E non di poco. In Music Complete, mi dispiace Tommaso – avrei forti dubbi su un mondo in cui passa alla storia quest’album –, ma soprattutto Alessio, ho visto e ascoltato dei vecchi – sì, proprio dei vecchi – che, brancolando in un passato più o meno remoto, hanno prodotto un lavoro che non ha aggiunto nulla ai New Order e che, aihmè, ha le sembianze di una auto–caricatura piuttosto deprimente.

AB: Potrei rispondere con argomentazioni lunghissime (e lo farò se costretto), ma preferisco citare qualche dato. Sono i voti dati dalla stampa estera e italiana a Music Complete:  The Guardian, 4/5; Mojo, 4/5; Pitchfork, 7.2/10; Q, 4/5; The Observer, 4/5; Ondarock, 7.5/10. Secondo album dell’anno per i lettori di Rockerilla. Continuo? No. Meglio non infierire.

VT: Siccome noi di Flanerí facciamo con grande devozione i nostri sani esercizi di relativismo quotidiano – ma soprattutto ce ne freghiamo allegramente della grande critica musicale mondiale – , mi sento di interpretare la voce dei nostri affezionati lettori nel chiedere ad Alessio di presentarci, in forma sintetica s’intende, le sue lunghissime argomentazioni. Perché come diceva Nietzsche non esistono fatti, ma solo interpretazioni.

AB: Allora, primo punto. L’elenco delle recensione positive (di prestigiose realtà editoriali internazionali) era un modo non per troncare subito il discorso, ma per mostrare ai nostri lettori e detrattori che il disco ha riscosso a livello unanime ottime recensioni: non penso che tutti quelli che lo hanno recensito positivamente debbano cambiare mestiere, no? Punto Due: Un disco per essere bello e importante deve essere triste e depresso? Dove sta scritto che un grande prodotto discografico non possa essere brillante, fresco, e pop nell’eccezione più alta del termine. Vorrei scomodare altri nomi grossi, ma chiunque ami i Beatles e i Beach Boys come me sa di cosa parlo. Terzo Punto: A livello tecnico il disco è inattaccabile. Non lo dico solo io, ma tutti i miei colleghi e conoscenti musicisti che hanno preso il basso in mano per colpa di Peter Hook. Quarto Punto (Per rispondere a Tommaso): Music Complete non è un concept album: era da un po’ che i New Order non facevo un disco e hanno fatto confluire all’interno di questo tutte le loro variegate anime. Quinto Punto (rispondendo a Valerio e Luigi): Trovo molto fuori luogo la questione sull’ora di capire quando si tratta di mollare. Andando a vedere la cronologia della loro discografia, tra Waiting For The Siren Call e Music Complete ci sono dieci anni. Non trovo ragioni commerciali, non vedo mode da cavalcare e consiglio a tutti di leggere quali eventi biografici hanno portato alla semi–reunion. Trovo una band che ha ancora qualcosa da dire e lo ha fatto magnificamente, ricordando a tutti che quando la “Vecchia Scuola” scende in campo le nuove leve devono solo che imparare a testa bassa. Sesto Punto: Music Complete non è un album innovativo, è una album di mestiere all’ennesima potenza. I New Order fanno i New Order e basta e lo fanno come si deve, con qualche accortezza contemporanea (Chemical Brothers) e non trovo che questo sia un limite, anzi; ci sono band (come i The National, che amo) che fanno sempre lo “stesso disco” e nessuno si lamenta. Qualora debba proseguire, fatemelo sapere.

VT: Personalmente direi di tralasciare il discorso del livello tecnico, che secondo me non decide della bellezza di un disco: ci sono band tecnicamente al limite della sufficienza che hanno fatto la storia della musica, così come album tecnicamente superlativi ma del tutto trascurabili. Questo nuovo dei New Order sarà pure ineccepibile dal punto di vista tecnico e avrà pure una produzione qualitativamente stellare alle spalle: so what? Un altro punto che mi preme chiarire è il seguente: non è certo l’allegria o la malinconia che trasmette un brano o un disco a fissarne il valore musicale; a deciderne, se vogliamo chi, amarla così, la bellezza. Direi, anzi, che i parametri di tristezza/allegria/freschezza/ballabilità di cui parla Alessio siano assolutamente superflui. Esistono dischi ballabili belli e brutti; dischi tristi belli e brutti; dischi allegri, pop belli e brutti. Come le classifiche per genere, anche quelle per umore mi lasciano totalmente insoddisfatto. Per quanto mi riguarda, quindi, non posso che confermare quanto detto in precedenza: siamo di fronte a un disco che non dice nulla, a tratti noioso e ripetitivo. Poi Alessio ha ragione quando afferma che la biografia della band porta chiaramente ad escludere oscure motivazioni commerciali dietro questo lavoro. Sono pienamente d’accordo: non è l’onestà dei mestieranti che metto in dubbio. Mi sembra, però, che siamo di fronte a uno di quei tipici casi, di cui è piena la storia della musica, del vorrei ma non posso: grande passione, grande tecnica, grandi mezzi; ma poche, pochissime, idee.

LI: Tralascio anche io qualche cosa: tralascio il fatto che tu abbia inserito i Beatles in questa discussione, Alessio, non volermene. La domanda “un album per essere bello e importante deve essere triste e depresso” mi sa sempre, durante una discussione, di un’ultima spiaggia. Ho l’impressione che la persona con cui parlo si senta un po’ con le spalle al muro e tiri fuori, come ancora di salvezza, la storia del “eh, ma a te se non sono depressi non piacciono”, che in parte può essere vero, ma non così tanto da farne un corollario. Non c’è bisogno di rispondere, perché la risposta non può essere che no. (Scriverei le stesse parole scritte da Valerio in merito, quindi evito). Il problema, Alessio, è che qui non credo si parli dello “stesso disco” alla maniera dei The National. Non penso proprio che ci troviamo a ragionare in questi termini. Qui il discorso è influenzato unicamente dall’album Music Complete per ciò che è. Penso semplicemente che sia un lavoro privo di spunti interessanti, che non abbia punti di forza o motivi validi per essere ascoltato. Lo ascolto perché sono i New Order e poi lo lascio stare. In fin dei conti, non lo consiglierei a nessuno, ecco. Inoltre  continuo a credere che se hai scelto di inserire un pezzo come “Tutti Frutti”, forse hai realmente esaurito le tue scorte di inventiva e stai messo piuttosto male. Checché ne dicano Pitchfork o Ondarock – penso, pur rispettando il giudizio di critici più illustri di me, di poter esprimere cosa per me è bello o cosa non lo è senza doverne tenere per forza conto nel momento in cui formulo un pensiero su un qualsiasi argomento.

AB: Viste i numerosi aspetti espressi in questo dibattito (e che non ripeterò), mi sento molto lontano dall’avere le spalle al muro o l’essere all’ultima spiaggia: anzi, viste le repliche fornite, mi chiedo come sia la sabbia sotto i vostri piedi. E sono il primo a non voler assolutamente estremizzare binomi tra umori e qualità artistiche. Ripeto per l’ultima volta – prima di lasciare la sentenza ai nostri lettori: I New Order hanno fatto egregiamente i loro mestiere e ciò che ne viene fuori per me è un prodotto alto. Concludendo dicendo che – visti i riscontri di pubblico e critica – i New Order pubblicheranno a breve Complete Music: ovvero tutti i remix dell’album in questione. Lungi da voler usare questa uscita discografica come ennesimo dibattito, ringrazio i miei compagni di discussione per avermi fatto amare ancora di più questo disco difendendolo dalla loro più che legittime e giuste critiche. Alla prossima!

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