“Sono Dio”
di Giacomo Sartori

Se la situazione sfugge di mano a Dio

di / 10 ottobre 2016

Tutto sommato, se Dio fosse quello di Giacomo Sartori, sarebbe un buon amico. È un padreterno che fino al visto si stampi di questo libro (Sono Dio, NN Editore 2016) se ne stava lì a guardare e ascoltare l’universo, in un modo che gli umani non possono cogliere pienamente, ma grosso modo se la godeva. Un Dio come potremmo essere noi, che «fa quello che deve fare senza affannarsi e senza stressarsi, senza farlo pesare». Solo che da lui ti aspetti che tenga sotto controllo le cose e invece, divino o meno, molto gli sfugge. E questo è un macigno sull’umanità. Non si tratta di concedere un più o meno lasco libero arbitrio, è che se Dio fosse quello di Sartori sarebbe uno (l’essere di cui parliamo è un maschio) che improvvisa persino nell’atto della creazione: «Io mi sono messo a creare, adesso non mi ricordo nemmeno più perché», in una situazione confusa dalla quale è nato l’uomo. E c’è di più: nemmeno l’essere supremo si aspettava che quella specie di scimmia glabra avrebbe dominato il pianeta, anzi, avrebbe scommesso che a farlo «fossero i leoni, gli scorpioni, o qualche tipo di combattiva formica»; solo che quella scimmia è La specie imprevedibile di Philiph Lieberman (Carocci, 2016).

Un Dio umano, dunque. D’altronde difficilmente potremmo crederlo verosimile, se non avesse logiche e sentimenti riconoscibili. Che si tratti di rabbia, di amore, di vendetta o di misericordia, gli attributi che appartengono ai nostri simili diventano imprescindibili nella formazione del personaggio Dio. D’altronde, il gioco è manifesto sin dalla bandella, che dichiara: «Dio si ferma a contemplare l’umanità, tra le sue creazioni forse quella meno riuscita, così brutale, inconsapevole e priva di prospettive. Ma quando il suo sguardo si posa su una ragazza […] accade qualcosa di imprevedibile». Questo Onnipotente ci giudica, e severamente. Ci informa che per salvare un pianeta ormai spacciato – a causa di inquinamento, cementificazione, disboscamenti, abbandono di scorie radioattive – occorrerebbe il suo intervento, che però non arriverà: «Quello che dovevo fare l’ho fatto, non ho nessunissima intenzione di ricominciare tutto da capo solo perché quattro disgraziati si sono divertiti a sfasciare tutto».

È soprattutto il genere maschile a essere mal visto, confermando la capacità empatica con il femminile che Sartori aveva messo in mostra già in Rogo (CartaCanta, 2015). Ma tutta la razza risulta essere affascinata dal male, nonostante – o forse a causa – di una presunzione di intelligenza: «Nessuna scimmia ha mai scritto un tomo di mille pagine di etica, ma nessuna scimmia ha mai trucidato la sua amica e ne ha mangiato il cuore».

Cosa salvare, dunque, se non la schiettezza di una ragazza troppo magra sopra e troppo larga sotto, con gli occhi distanti e i capelli viola raccolti in due codini? Su di lei si posa lo sguardo di Dio, fermando il tempo eterno nel momento più intimo di un essere che è sempre esistito: quello del dubbio. Cosa accade all’Altissimo? Potrebbe inquadrare miliardi di esseri umani e invece il suo sguardo si posa con sempre maggiore insistenza su una genetista atea, che si diverte ad accendere dei falò di crocifissi, ammonticchiando i metallici cristi su un lato del caminetto quando il legno della croce si trasforma in cenere. Non che Dio ne rimanga turbato, del resto non è nemmeno sicuro che quel ragazzo palestinese sia proprio suo figlio, anzi, nemmeno si era accorto della sua esistenza finché Gesù non cominciò a proclamarsi generato e non creato.

Sartori non manca di spirito, e architetta la narrazione sotto forma di un diario. Dio ci parla in prima persona e si arrovella nel dover usare un linguaggio umano, che non solo – per dirla con Wittgenstein – traveste il pensiero in un modo tale che «dalla forma esteriore dell’abito non si può inferire la forma del pensiero rivestito», ma rappresenta un abito sull’abito, poiché il pensiero stesso è per Dio un travestimento della sua essenza: prima della scrittura di questo diario, Dio non ha mai avuto bisogno nemmeno di pensare perché, dopotutto, è Dio.

Ma è appunto la ragazza, Dafne, l’atea genetista, il motivo del suo scrivere, del suo avvicinarsi sempre più ai difetti umani. È lei a esasperare quella perdita di controllo che fino ad allora si era manifestata in innocue distrazioni. Dio fin da subito capisce che l’assidua curiosità con cui la segue nei suoi gesti quotidiani è maggiore rispetto a quella spesa per qualsiasi altro essere, pianeta, stella o galassia. Egli s’innamora di questa inconsapevole Dafne, che nel nome porta lo svolgersi della storia: Dio potrà infatti inseguirla a lungo come già fece Apollo, e l’esito di questa storia, Sartori lo custodisce per il colpo di scena finale.

 

(Giacomo Sartori, Sono Dio, NN Editore, 2016, euro 17, pp. 224)
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LA CRITICA

Un libro piacevole su un Dio con i difetti di un uomo innamorato: un maestro di scacchi distratto, che dimentica quel pedone che minaccia la regina e si ritrova per tutta la partita a inseguire.

VOTO

6,5/10

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