“Terreni”
di Oddný Eir Ævarsdóttir

L’Islanda interiore

di / 23 novembre 2016

Quanta letteratura di qualità può produrre una nazione che ha meno abitanti di Bologna? A giudicare dai nomi altisonanti del secolo scorso (su tutti: Gunnar Gunnarsson e, soprattutto, Halldór Kiljan Laxness, premio Nobel nel 1955) e dalle nuove leve che si affacciano sul panorama europeo e internazionale in questi anni, la letteratura islandese ha già detto molto e ancora avrà da dire nei decenni a venire. Il panorama artistico dell’isola nordica è decisamente vivo, come ricorda la prefazione di Massimiliano Bampi posta in apertura di Terreni, libro di Oddný Eir Ævarsdóttir (Safarà Editore, 2016). La casa editrice di Pordenone ha fatto una mossa più che oculata mandando in stampa questo libro in un momento in cui l’Islanda è tornata alla ribalta grazie ad alcune vicende non direttamente legate al mondo letterario ma appartenenti alla cultura di massa. L’impensabile performance sportiva della nazionale di calcio isolana agli Europei 2016 e la nuova apertura al turismo straniero del paese – attuata mediante la creazione di voli e agevolazioni turistiche dalla vicina Europa – ha riequilibrato l’immagine e l’appeal di un paese che pareva affossato dalla grave crisi economica del 2008, che lì aveva colpito più duramente che altrove.

Terreni è il terzo libro scritto da Oddný Eir, artista poliedrica in grado di mettere a curriculum la curatela di spazi espositivi negli Stati Uniti e in Islanda, la collaborazione con la cantante Björk e un’attività letteraria originale e introspettiva. Dopo aver collezionato un paio di premi nazionali con le prime pubblicazioni, il vero successo della scrittrice è arrivato con quest’opera, pubblicata nel 2011, accolta con grande clamore dal pubblico di casa e dalla critica europea e giudicata meritevole del premio dell’Unione Europea per la Letteratura. Il best-seller è dunque sbarcato sul continente, raccogliendo consensi in ogni paese per la delicatezza del suo stile e delle sue immagini, capaci di catturare l’attenzione dei lettori ed emozionarli pagina dopo pagina. Pur non essendo un romanzo, Terreni consente una lettura vivace e leggera, in grado di condurre chi legge alla scoperta di innumerevoli mondi: dalla vita interiore dell’autrice alle vicende storiche del suo paese, dal panorama letterario islandese passato e presente alle tradizioni isolane che vanno via via scomparendo nel paese dei vulcani e dei geyser.

La ricerca che Oddný Eir racconta in Terreni è duplice: da un lato l’autrice trasporta il lettore nel suo mondo, realtà in cui sta vagando assieme a membri della sua famiglia (il fratello archeologo Ugli e il suo uomo, l’ornitologo Fugli) con l’obiettivo di scoprire una vera e propria dimora; dall’altro quello che si viene a comporre è un affresco storico-culturale dell’Islanda, dalla sua scoperta alla crisi sopracitata, all’interno del quale è palese il bisogno della scrittrice di reperire le proprie coordinate esistenziali. «La casa dovrebbe essere un luogo di esperienze e di scoperte, un luogo di tranquillità per coltivare la parte più nobile di ciascun essere umano, in sintonia con i desideri e le ambizioni degli altri» scrive Oddný Eir durante il suo continuo peregrinare. Appare dunque chiaro, fin dalle prime pagine, che l’unione dei due obiettivi dell’autrice si concretizza nella ri-scoperta della terra e di un modello di esistenza (la «spirale autosufficiente») che il XX° secolo ha spazzato via anche in una terra di confine com’è l’Islanda.

Archeologia, ornitologia, mitologia, storia, agiografia e letteratura (a partire dalle celebri Saghe Islandesi); queste sono soltanto alcune delle discipline che il libro tocca con finezza, riuscendo sempre nell’arduo tentativo di non essere didascalico. Anche nel rapporto che l’autrice instaura con il pensiero verde e il recupero delle tradizioni non è ammantato da quella patina semplicistica e idealistica che accomuna molti lavori di settore, specialistici e non. Oddný Eir non professa il ritorno alle origini e non sbandiera un luddismo anacronistico, bensì pone l’accento sull’importanza di associare le buone pratiche del passato al futuro che abbiamo davanti. In uno dei passaggi migliori del libro, l’autrice si scaglia contro il sempre chiacchierato ritorno al passato: «No, non back to nature, semmai forward! Avanti, verso la natura!» Anche quando la realtà contemporanea, quella della crisi economica, subentra con violenza nelle pagine del memoir il libro non deraglia mai nel nazionalismo di chiusura, aprendo invece alla «totalità di tutto ciò che esiste» e inneggiando all’unica lealtà degna dell’impegno di tutti: quella verso la terra.

Terreni è un libro-diario che vale la pena di leggere; è una porta aperta su una nazione nascosta, che difficilmente abbiamo la possibilità di conoscere in modo così intimo e personale. Non è un libro di viaggio, non è una guida canonica da utilizzare come alternativa alla Lonely Planet. Il libro di Oddný Eir riesce a creare un ponte fra le letterature di ieri e la terra devastata di oggi, presentando al pubblico internazionale un’autrice la cui opera andrebbe indagata più a fondo, perché caratterizzata da una sensibilità sociale e da una morbidezza stilistica fuori del comune. Al termine del libro è impossibile non ritrovarsi a sperare di cuore che Oddný Eir abbia trovato la sua terra, che vi sia stabilita, e che dal luogo a lei consono stia scrivendo nuove pagine.

 

(Oddný Eir Ævarsdóttir, Terreni, trad. di Silvia Cosimini, Safarà Editore, 2016, pp. 240, euro 18)

 

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LA CRITICA

Dotato di uno stile delicato e accogliente, Terreni è un memoir in grado di soddisfare numerosi palati letterari. In aggiunta a una scrittura intima in forma di diario, il libro intreccia numerosi fili, dando vita a un panorama variegato e intrigante della contemporaneità e del passato islandesi.

VOTO

7,5/10

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