“La stanza di Therese”
di Francesco D’Isa

Un romanzo che soffre la brevità e la troppa erudizione

di / 5 ottobre 2017

La stanza di Therese di Francesco D’Isa (Tunué, 2017), incipit:
«Per vent’anni siamo state sorelle, per cinque amiche e per tre sconosciute. Sei tra le poche persone che, oltre allo stupore, ha dimostrato entusiasmo per la mia decisione di dedicare un anno a un viaggio solitario, motivo per cui mi dispiace deluderti. In verità non mi sono mai mossa dall’hotel… di… né intendo uscire finché non avrò trovato una spiegazione soddisfacente».

Therese, dopo un incidente, si isola in una stanza: qui legge, porta avanti una ricerca sul concetto di infinito, scrive lettere alla sorella che le vengono rispedite con commenti a margine. Il loro è un dialogo franco, in cui al malcelato risentimento di Therese si contrappone la malcelata superiorità della sorella-avversaria, il primo espresso in forma di ambigua confessione, la seconda in forma di glosse lapidarie e pungenti.

La fascinazione esercitata da quest’opera di Francesco D’Isa è soprattutto estetica: quasi ogni pagina è impreziosita da immagini – alcune a opera dello stesso autore, artista visivo – che nella finzione sono ritagli incollati da Therese alle lettere per rafforzarne riflessioni e citazioni per lo più filosofiche: dalla miniatura al dipinto, dallo schema al grafico matematico, dall’anatomia alla fotografia. Lo stile è piano, pulito, di un colloquiale colto finalizzato a coordinare ricerca filosofica, autoanalisi e dialogo a distanza. La forma epistolare, insieme alla ricerca perseguita e al tono della protagonista, ricordano il romanzo filosofico del Settecento:
«È difficile prenderla sul serio. Eppure quasi tutto quel che faccio si poggia su una visione del mondo, e questa, talvolta senza che nemmeno lo sappia, sottintende una metafisica». [p. 39]

Ma la ricerca gira a vuoto, non si impongono idee forti, si è più vicini a un tenace sfoggio di erudizione filosofica e matematica di Therese/D’Isa che nulla o poco aggiunge da un punto di vista teorico (sfoggio in parte voluto, come si evince dalle glosse della sorella che talvolta rivelano le fonti tradite e talaltra sono contro-citazioni). La confessione, dal canto suo, è esile, emerge debolmente il conflitto con la amata/odiata sorella le cui sferzanti risposte costituiscono la drammaturgia di questo romanzo sin troppo breve:
«Uno dei privilegi di esser sorelle è la capacità di prevedere le reciproche reazioni. Ancor prima di leggere la tua risposta ero certa che avresti interpretato il mio gesto come un amalgama di misantropia, emotività e desiderio di mettermi in mostra, ma sapevo anche che non mi avresti etichettato come pazza; accetto dunque il tuo tenero ricatto, e, se mantieni il segreto, continuerò a scriverti». [p. 11]

Mentre Therese si racconta lucida e razionale (in apparenza, vedremo), è la sorella a svelare la finzione che sempre accompagna una confessione: Therese, ragazza insicura, chiusa, insoddisfatta, difficile ai rapporti umani, è più volte accusata di essere invidiosa dalla sorella che, dal canto suo, è facile ai rapporti umani e ha raggiunto i suoi obiettivi.

La lucidità di Therese cede alla paranoia che progressivamente si insinua: il sospetto, sempre più insistito, che la sorella abbia rivelato ai genitori l’indirizzo della stanza in cui si nasconde in meditazione. Le tare esistenziali non bastano a rafforzare il personaggio di Therese, dal respiro troppo corto e dalle potenzialità non del tutto espresse causa eccessiva cogitazione, quell’aplomb intellettuale che in una trama statica può spesso stancare il lettore, solo parzialmente sedotto dall’infelice e irrisolto rapporto tra sorelle. Si ha come l’impressione di trovarsi al cospetto di un’idea di romanzo sviluppata in forma abbozzata, parziale; il finale è più simile a un’interruzione prematura, a un qualcosa che poteva trovare ulteriori sviluppi, che poteva abbattere la cappa filosofica attraverso il ricorso all’azione, al movimento, ma si fa appena in tempo a uscire dalla stanza che il libro, anzitempo, si chiude.

 

(Francesco D’Isa, La stanza di Therese, Tunué, 2017, pp. 118, euro 12)
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LA CRITICA

La confessione di una sorella frustrata e paranoica e dall’approccio filosofico alla vita non mantiene le premesse. Il romanzo, scarno e statico, stenta a decollare: non bastano il pur pregevole apparato d’immagini e alcuni spunti interessanti.

 

VOTO

5,5/10

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