Custodire il presente

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017

di / 25 ottobre 2017

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Può essere dura tirare a campare quando senti che il tuo posto non è quello che abiti ogni giorno, ancora più dura, forse, se in quella terra ci sei nato senza mai riuscire ad allontanartene. Ed è dei modi in cui si può appartenere a un luogo – non semplicemente della montagna, dell’essere genitori e figli, del trovare un amico, del diventare grandi e cercare il proprio spazio nel mondo – che parla Paolo Cognetti nel suo esordio da romanziere, Le otto montagne (Einaudi), che è stato un caso editoriale prima ancora di approdare in libreria ed è valso all’autore il Premio Strega di quest’anno.

Che la scrittura di Cognetti tendesse verso una narrazione di ampio respiro lo si poteva intuire sin dai tempi di Sofia si veste sempre di nero (minimum fax, 2012) dove era un’unica storia a tenere insieme la raccolta di racconti, ma lo stile essenziale, cristallino in cui risuona l’eco dei maestri della short story americana, continua a scandire il ritmo anche di questo romanzo in cui l’autore ha aggiunto molto della propria storia personale.

Nessun colpo di scena né effetto speciale, dentro Le otto montagne non si fa che seguire la vita che scorre: si legge dell’amicizia tra Pietro e Bruno, due ragazzini che non potrebbero essere più diversi, ma che diventeranno uomini senza che il loro legame costruito su poche parole e molti gesti si possa spezzare; si ripercorre la storia della famiglia di Pietro, del padre soprattutto, seguendo il reticolo dei suoi passi tra le montagne, lungo vent’anni di camminate; si impara il rispetto per le leggi silenziose dell’alta quota, dentro gesti rituali che ne fanno non una sosta di villeggiatura, ma una meta esistenziale.

«Era questo a fare la differenza. Il modo in cui un luogo custodiva la tua storia»: se per Pietro la montagna è il posto della nostalgia, del tornare per fare visita a ciò che si è stati, per Bruno è l’unica declinazione possibile del presente, una condizione per cui non appaiono possibili alternative. E lungo i due sentieri, quello di chi va e di chi resta, si snoda una ricerca di identità e di senso, attraversata come dai torrenti da una malinconia di fondo che la tavolozza cromatica della splendida illustrazione di copertina di Nicola Magrin riesce perfettamente a restituire.

Leggendo questa favola fuori dal tempo si imparano molte cose, per esempio che dire di amare la montagna è impreciso se non si conosce l’esatta altitudine a cui si appartiene: «Ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene». Oppure a guardare le cose come un pesce di fiume, sempre «verso l’alto, in attesa di ciò che deve arrivare». Si scopre che in cima ai monti si trovano spesso dei taccuini consumati dalla pioggia e dal sole, su cui i temerari che hanno scalato le vette lasciano una traccia del loro passaggio o un pensiero per chi non è ancora arrivato. O che il Monte Rosa si chiama così non perché sia davvero rosa, ma perché il suo nome deriva da una parola antica che significa “montagna di ghiaccio”. Si impara a riconoscere l’età dei ghiacciai, che sono «la memoria degli inverni passati che la montagna custodisce per noi». E che «andando in alto si va indietro con le stagioni», ma soprattutto che in quello che appare come il regno della solitudine, si può incontrare un altruismo che non esiste a bassa quota.

Per riconoscere che Le otto montagne sia un gran bel libro non c’è bisogno di gridare al capolavoro né abbracciare il culto dell’altitudine e rinnegare le ragioni per le quali continuare a preferire il mare, ma è sufficiente essere disposti a riconoscere che, per recuperare qualche pezzo di sé che si è perso per strada, si può anche tornare a casa, invece che puntare sempre lontano.

 

(Paolo Cognetti, Le otto montagne, Einaudi, 2016, pp. 208, euro 18,50)

 

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LA CRITICA

Uno scrittore di racconti e una prima prova narrativa estesa molto ben riuscita, animata da una scrittura che scorre cristallina come i torrenti che ne attraversano le pagine.

VOTO

8/10

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