Una città d’inchiostro e di ricordi

Intervista a Michele Turazzi, autore di “Milano di carta”

di / 17 maggio 2018

Milano diventa di carta, si fa racconto e si immagina attraverso grandi autori del ’900. Milano underground dei Navigli, la meraviglia della Scala e le rovine della guerra, la Milano dei vini ghiacciati di Hemingway, in via Verdi e via Manzoni e di via della Moscova di Buzzati. La Milano di Giorgio Scerbanenco, piena di storie potenti e criminali a Lambrate e quella composta e borghese di Lalla Romano, ai giardini pubblici tra via Manin e Porta Venezia, passando attraverso il Castello sforzesco negli scritti di Carlo Emilio Gadda e arrivando a via Monte Napoleone descritta da Emilio Tadini. Fino al simbolo della città, il Duomo e le sue 145 guglie. Appare quasi un controsenso divertente che la mappa letteraria della città del Nord per antonomasia – Milano – sia stata pubblicata da una casa editrice siciliana che già da un po’ stava curando una collana di guide letterarie di città italiane. Ma un po’ per caso e un po’ perché le coincidenze non esistono, l’autore, Michele Turazzi, ha incontrato gli editori di il Palindromo ed è nata la splendida lettura che è Milano di carta.

 

Come è nata l’idea di rendere cartaceo e letterario l’identikit di Milano?

L’idea era preesistente: sbocciata con un articolo che avevo pubblicato su Studio in cui narravo cinque luoghi del capoluogo lombardo attraverso cinque autori. E da quel momento ho incominciato la mia doviziosa ricerca sulla città: raccogliendo storie, riferimenti storici e aneddoti. L’incontro con il Palindromo, avvenuto al Book Pride, ha reso vivo il progetto che già avevo e che appunto coltivavo da tempo: Milano di carta è nata così.

 

Quello che colpisce nel libro è che ovviamente non stiamo parlando di una semplice guida o mappa della città e nemmeno della mera rappresentazione di Milano attraverso diversi momenti storici: come potremmo definirla? Cosa avevi in mente?

Diciamo che mi sono approcciato con molto rispetto alla vita e alla visione di ciascuno degli autori che ho raccontato e che a loro volta hanno vissuto e quindi raccontato la città: potremmo dire che è un reportage narrativo, intriso di una ricerca attenta e di uno stile più calibrato che ho preferito rispetto alla prima stesura del progetto: era partita come una “ mappa” con meno ricerca e si è poi arricchita di precisione, dettagli, citazioni e anima.

 

Sin dalle prime pagine si intuisce che la voce narrante è sfuggente, di lato: esiste il protagonista-autore che conduce il lettore per mano attraverso il pezzo della Milano che ha vissuto e che ha caratterizzato la sua attività, le sue opere, il suo quotidiano…

È stata una scelta di cui sono rimasto soddisfatto: ho cercato di “scomparire” il più possibile, dando voce alla visione all’autore di ogni singolo capitolo che ha dato vita a un diverso quartiere di Milano con una diversa connotazione storica e sociologica. In modo tale che il lettore fosse a metà strada tra il narratore e uno dei grandi autori del ’900 di cui ho scelto di parlare e al contempo, si sentisse vicino e attratto da ogni sfumatura della città. La narrazione amalgama il tutto cercando di raggiungere un risultato godibile, anche perché, va detto, c’è una notevole mole di informazioni.

 

La guida letteraria in tal senso è riuscita nel suo intento: è approfondita, ma scorre in modo fluido, non pesante. E “sfida” certi luoghi comuni della grande capitale nordica come la sua apparente rigidità ed il suo essere figlia del boom economico, piena di lavoro ed opportunità, senza fronzoli…

Attraverso gli autori del ’900 che ho individuato per narrare Milano si intravede subito che la città ha cambiato spesso composizione sociale, abitudini, connotazioni. Ho voluto raccontare la città attraverso le sue varie anime, sino a confrontarla inevitabilmente con quella di oggi, passando dalle tipizzazioni appunto come quella della Milano degli anni ’80, fatta di eccessi e di successi, o quella di Alda Merini “poetessa dei Navigli”, o ancora del perbenismo borghese descritto da Carlo Emilio Gadda. Ci sono tutti gli elementi di una Milano cosmopolita con un’alta eredità letteraria e con una bellezza che tende a nascondersi ma che risplende ugualmente.

 

Uno dei capitoli più intensi è quello dedicato a Elio Vittorini, siciliano di nascita e milanese di adozione, che arriva a Milano su invito di Valentino Bompiani e per il quale la città sarà la colonna portante del suo lavoro editoriale e colei che «gli restituisce il contatto passionale con le cose»: è stato un capitolo anche molto storico. Il più complesso?

Sicuramente. È quello a cui sono più legato per la complessità appunto della ricerca del filone storico che ci riconsegna una Milano sfregiata dalla guerra, un aspetto della città di cui si tende a dimenticarsi e che volevo rievocare. Non a caso il “bonus track” che campeggia alla fine di ogni capitolo è dedicato alle “rovine della città”. I bombardamenti su Milano furono una costante di tutta la seconda guerra mondiale e in una delle case dove ho vissuto c’era ancora la scritta «US», ovvero uscita di sicurezza, che campeggiava nei rifugi. Eppure il capitolo rimanda una scintilla dominante e caratteristica di Milano: la sua rinascita e la sua intensa capacità di farlo, la sua vitalità intellettuale nonostante la strage di piazza Fontana, corso di Porta Vittoria e i suoi morti, i vecchi bastioni delle cinque giornate nel 1848. Milano è sempre rinata.

 

Questa caratteristica della città spicca spesso nel reportage che le hai dedicato. Perché è stata in grado di rinascere sempre?

Milano è una città che ha saputo sempre reinventarsi. Tende a valorizzare maggiormente gli elementi nuovi, rispetto a quelli che ha già. Molte ferite della città hanno portato a profondi cambiamenti urbanistici, molte commistioni ad una maggiore resistenza alla crisi, come quella che stiamo vivendo ai nostri giorni.

 

E poi gli intellettuali: il loro spirito che aleggia in ogni periodo, dal ’900 che hai tratteggiato, ma che resiste fino ai retaggi attuali: Brera occupa un posto d’onore in Milano di carta

Brera , dove sorge l’Accademia delle Belle Arti, è il “set” del capitolo di Luciano Bianciardi che è stato paragonato – non da me ma la stampa dell’epoca – a Montmartre: il posto dove si discuteva di astrattismo e rivoluzione, lotta di classe ed esistenzialismo, protetti da una città che «in queste stradine acciottolate riesce a dimenticarsi di un miracolo economico zeppo di contraddizioni». Ecco: così come c’è stata una Milano da ricostruire a livello edile era necessario ripartire dalle idee, dalle ispirazioni e dalle rivoluzioni.

 

Una città che rinasce ma di cui hai raccontato anche il lato oscuro, come nel capitolo di Tadini nella lunga notte degli anni ’80…

Il capitolo inizia con una Milano notturna e inospitale, pervasa dal grande contrasto degli anni ’80: da una parte la città scintillante e “da bere”, dall’ altra quella di un’intera generazione consegnata alle braccia dell’eroina, ai margini di Parco Lambro e al Sempione. La città ha poi perso quel tratto distintivo esuberante e autolesionista e attraverso corsi e ricorsi storici ha guadagnato un nuovo equilibrio e ha saputo reggere alla crisi attuale molto meglio di altri territori. Inventandosi nuove professioni, inglobando nuovi schemi commerciali e sociali.

 

Tre aggettivi per definire Milano?

Non è semplice: ma ci provo. Reattiva, accogliente, letteraria.

 

Un giro ideale a Milano di sera…

Partiamo da via San Marco, Solferino, Brera. Passiamo per i canali del Naviglio e ammiriamo Piazza della Scala, uno sguardo al Duomo e le cinque Vie. E poi il Foro Romano e Palazzo Imperiale: una passeggiata meravigliosa.

 

(Michele Turazzi, Milano di carta, il Palindromo, 2018, pp. 168, euro 15)
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