Tra “L’altra Grace” e “The Handmaid’s Tale”, ci siamo noi

Uno specchio distorto sul mondo in cui viviamo

di / 9 novembre 2018

l’altra grace, copertina del libro su Flanerí

Se si ha già avuto a che fare conThe Handmaid’s Tale, L’altra Grace – miniserie prodotta da Netflix e trasposizione di un romanzo di Margaret Atwood del 1996 – risulterà sinistramente familiare. È infatti la storia, liberamente ispirata a fatti reali, di una giovane donna, immigrata irlandese in Canada, dichiarata colpevole dell’omicidio dei signori nella cui casa prestava servizio come cameriera, e per questo incarcerata a vita.

Dopo quindici anni, il Dottor Jordan, giovane medico americano studioso di malattie della mente, viene chiamato a cercare di comprendere se Grace Marks sia davvero colpevole, poiché, dopo il clamore mediatico causato dal processo, diverse autorità sono ancora convinte della sua innocenza e cercano di ottenere la sua scarcerazione.

La serie ripercorre la vita di Grace – l’arrivo in Canada, il rapporto con il padre alcolizzato, il primo lavoro e l’amicizia strettissima con una cameriera in servizio nella stessa casa, e poi la morte di questa per via di un aborto mal riuscito, fino a un lavoro diverso in una nuova casa e al momento oscuro dell’omicidio dei padroni di casa, di cui Grace ha ricordi confusi, contraddittori – proprio attraverso le conversazioni con il Dottor Jordan. Il medico finisce tuttavia per essere sempre più coinvolto nella vicenda, in un vortice di sentimenti e intuizioni contrastanti che portano a un epilogo misterioso, molto attraente anche se forse non interamente riuscito, che lascia molti enigmi irrisolti – e che fino all’ultimo farebbe sperare in una improbabile seconda stagione.

Ciò accade tuttavia perché l’obiettivo non è arrivare a una sentenza, risolvere una volta per tutte il mistero, quanto piuttosto mettere in luce il mondo in cui Grace, e le donne che attraversano la sua vita, si trovano a vivere.

È qui che la distanza apparente di L’altra Grace con The Handmaid’s Tale si accorcia. Se quest’ultima racconta di un futuro distopico in cui le pochissime donne fertili sono usate come schiave per dare figli alle famiglie di una nuova aristocrazia di fondamentalisti religiosi arrivati al potere negli Stati Uniti con un colpo di stato che ha cancellato i diritti fondamentali e tolto ogni libertà di scelta agli uomini, ma soprattutto alle donne, anche Grace Marks si trova a vivere in un mondo simile. È l’età vittoriana, vissuta da uno dei punti di vista più svantaggiati della società: le ragazze di bassa estrazione sociale, mandate a servizio in casa di famiglie ricche, sempre a rischio di diventare vittime di maltrattamenti e abusi, con l’aggravante di non essere mai considerate vittime, ma piuttosto colpevoli di aver attirato su di sé l’attenzione degli uomini. È il destino di Mary Whitney, l’amica di Grace, così come della sua futura padrona di casa, Nancy, la donna che la protagonista verrà accusata di aver assassinato.

È l’ingiustizia creata da un maschilismo profondo, la sopraffazione brutale e senza rimedio di una parte della società su un’altra, il collante tra le due serie – una rivolta a un passato non così distante, l’altra a un futuro non così incredibile (perché più volte, nell’osservare le vicende che giorno dopo giorno portano, in The Handmaid’s Tale, alla presa del potere della dittatura di Gilead, si è portati a pensare che si tratti di qualcosa di assolutamente possibile, che potrebbe cominciare ad accadere domani, senza che noi neanche ce ne accorgessimo).

Un’ingiustizia di cui sono soprattutto le donne a pagare le conseguenze, ma di cui sono vittime anche gli uomini, educati a essere sempre predatori e a vivere imbrigliando i propri sentimenti in convenzioni sociali, costretti in un abbrutimento emotivo che non lascia spazio all’amore, o anche alla semplice gentilezza – se non a quella rigidamente normata della galanteria maschile, altra faccia di un maschilismo che vede le donne sempre come deboli e bisognose di aiuto.

Il risultato è che, in entrambi i casi, nessuno si salva davvero. Tutti i personaggi, resi emotivamente instabili dagli abusi subiti, o da un’educazione che impedisce ogni possibilità di vera empatia, si ritrovano loro malgrado a vivere vite che non hanno voluto anche nei casi in cui l’epilogo non sia così tragico, o a compiere atti moralmente deplorevoli, a volte crudeli, per riuscire a sopravvivere – o anche solo a salvare la propria reputazione, più importante persino della vita.

La storia di Grace Marks, così come quella dell’ancella Difred, privata del suo nome e della sua identità per diventare solo produttrice di figli per il paese, ci ricordano il mondo da cui veniamo, e mostrano all’orizzonte quello a cui epoche oscure, situazioni di crisi profonda potrebbero portarci. E di conseguenza ci mettono di fronte alla fragilità della nostra libertà, mai data per scontata, sempre oggetto di contesa in politica come nella società.

Ma non solo. Come in uno specchio distorto, Grace e Difred ci mostrano il mondo in cui viviamo: le discriminazioni sottili, i modi in cui si può svilire o umiliare una donna descrivendola come debole, o stupida – o al contrario irruenta e aggressiva – solo in quanto donna; o brutta e inadatta, letteralmente inutile, perché non corrispondente agli standard dominanti. O, ancora, l’interiorizzazione del maschilismo da parte delle stesse donne, quando si criticano e infangano l’un l’altra, interpretando come ambiguo ogni atteggiamento non immediatamente comprensibile, per replicare e diffondere gli stessi schemi di pensiero: che una donna è solo santa o puttana – e sbagliata in entrambi i casi. Salvo poi essere colpite tutte come un boomerang dalle stesse accuse, in un gioco in cui perdono tutte.

L’altra Grace, così come The Handmaid’s Tale, sono storie di epidemie, ma i virus che le scatenano li conosciamo bene, li abbiamo davanti ogni giorno. Le storie di Margaret Atwood ce li rendono solo più visibili, più semplici da riconoscere – e ci offrono forse qualche antidoto con cui combatterli.

 

L’altra Grace è una miniserie in sei puntate diretta da Mary Harron disponibile su Netflix. The Handmaid’s Tale è una serie ideata da Bruce Miller per il network Hulu e disponibile in Italia su Tim Vision. Nel maggio del 2018 è stata annunciata la terza stagione dello show. I due romanzi da cui sono tratte le serie tv sono pubblicati in Italia da Ponte alle Grazie

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