La rivoluzione di Basaglia

Marina Guglielmi, “Raccontare il manicomio”

di / 18 marzo 2019

Copertina di Raccontare il manicomio di Guglielmi

Capita di rado che un libro scritto da uno studioso o una studiosa di letteratura sia piacevole da leggere anche per chi nella vita studia altro. Raccontare il manicomio di Marina Guglielmi (Franco Cesati Editore, 2018), ha rappresentato per me una bellissima esperienza di lettura. L’autrice, sicuramente, è stata aiutata dalla scelta di un tema molto affascinante: com’è cambiata la narrazione della malattia con la rivoluzione basagliana?

Dopo Foucault, i concetti di malattia, follia, anormalità si trasformano in un problema di carattere politico-sociale. In Italia, il lavoro di Franco Basaglia rivoluzionò il rapporto tra la società civile e coloro che venivano emarginati dalla società a causa di un disturbo psichico. Quando nel 1961, a Gorizia, lo psichiatra incomincia a lavorare come direttore di manicomio, era ancora in vigore la Legge 36 del 1904, auspicata da Giolitti per uniformare i criteri di internamento che, nonostante il paese fosse unito già da decenni, erano rimasti diversi per ogni regione. Si trattava della prima legge nazionale sui manicomi e l’obiettivo era sostanzialmente quello di proteggere la società da elementi di disturbo per la sicurezza sociale e per la morale pubblica. Non era affatto quello di curare gli «alienati», come venivano chiamati nella legge i malati di mente.

Verso la fine del decennio (1965-69), lo psichiatra denuncia le responsabilità di medici e istituzioni nei confronti della segregazione dei malati, giudicati elementi perturbanti per l’ordine sociale e non ricoverati con l’obiettivo di assisterli e curarli. Sarà anche per questa forma di violenza che Basaglia concepì la creazione di un’alternativa che rinnovasse strutturalmente questi spazi di reclusione. Nel periodo in cui dirige l’ospedale psichiatrico di Trieste (1971-1978), la sua attività assume un ruolo decisivo e attraverso i mass media il suo pensiero diventa sempre più popolare presso l’opinione pubblica, incominciando a entrare nell’immaginario dei cittadini.

La Legge 180 formulata dallo psichiatra e senatore democristiano Bruno Orsini, approvata nel 1978, è comunemente nota come legge Basaglia perché derivava soprattutto dal suo lavoro ventennale all’interno dei manicomi, dai suoi scritti, dai volumi collettivi curati insieme alla moglie Franca Ongaro Basaglia e da un insieme di azioni concrete come manifestazioni, sensibilizzazione sul problema degli internati, interviste e colloqui con i lavoratori del settore psichiatrico.

Spiega Guglielmi come «a partire dall’attività dello psichiatra Franco Basaglia si sia innescato un meccanismo narrativo che ha mostrato e narrato i luoghi manicomiali sottraendoli – insieme ai loro folli inquilini – all’invisibilità. Tutte le attività di Basaglia, a partire dalla direzione del manicomio di Gorizia nei primi anni Sessanta, sono state mirate ad aprire gli spazi chiusi degli ospedali psichiatrici e a trasformare radicalmente i luoghi preposti al controllo della follia. Per raggiungere questo obiettivo, concretizzatosi nel 1978 con la Legge 180, nota come legge Basaglia, lo psichiatra ha fatto dei manicomi l’argomento cardine di una macroscopica narrazione e ha innescato intorno a sé un processo narrativo irreversibile che ha coinvolto scrittori, artisti e intellettuali, psichiatri e politici, filosofi e operatori medici, registi e giornalisti, insieme a tutte le persone che in qualche modo si sono sentite di avere qualcosa da dire sulla questione».

Oggi ci relazioniamo con chi è affetto da un disturbo psichico diversamente rispetto a quando ancora gli internati erano tali per sempre. Talvolta sono gli stessi prodotti culturali a insidiare l’immaginario, com’è accaduto con le espressioni artistiche, cinematografiche, teatrali e letterarie che hanno cambiato la nostra idea della malattia mentale, emancipando i malati dalla nicchia dimenticata in cui erano stati abbandonati. Con l’opera d’arte collettiva Marco Cavallo, divenuta iconica all’epoca dell’approvazione della legge Basaglia, per esempio, insieme ai matti, a uscire dal manicomio per entrare in città furono un’idea e un mondo.

Guglielmi ragiona profondamente su cosa siano e siano stati gli spazi, reali e mentali, interni ed esterni. Raccontare il manicomio è la storia di quello che potrebbe considerarsi come un battesimo all’umanità di chi per tanto tempo è stato invisibile, perché il malato è più della sua malattia: rappresenta un soggetto vero e proprio, con diritti e doveri, come tutti, e va trattato in quanto tale.

(Marina Guglielmi, Raccontare il manicomio. La macchina narrativa di Basaglia fra parole e immagini, Franco Cesati Editore, 2018, 182 pp, € 28,00 | Recensione di Federico Musardo)
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LA CRITICA

Raccontare il manicomio è un libro fondamentale per tutti coloro che vogliono sapere come la malattia mentale è stata raccontata dopo la rivoluzione basagliana. La scrittura calibrata di Guglielmi aiuta sicuramente ad apprezzarne la lettura.

VOTO

8/10

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