Lo scacco brasiliano

“Biliardo sott’acqua” di Carol Bensimon

di / 30 luglio 2019

cover di Biliardo sott'acqua di bensimon

Un bar raso al suolo di cui restano solo i detriti; la facciata di una casa color salmone in progressivo sgretolamento, una piscina abbandonata e intasata dalle foglie; ecco alcune immagini con cui è riassumibile Biliardo sott’acqua di Carol Bensimon (Tunué, 2019).

Costruito come un romanzo corale, il libro ruota attorno a un’assenza: la giovane, bellissima, spensierata e solare Antȏnia è morta di una morte di quelle da stupidi; tutti sanno che in quel tratto la discesa è ripida e bisogna rallentare, anche lei l’avrà fatto migliaia di volte, eppure quella sera è andata giù, a sbattere contro un palo. E questo lo sappiamo fin da subito.

Antȏnia lascia un vuoto, come un centro gravitazionale attorno a cui ruotano i superstiti al cui punto di vista siamo a turno introdotti. Bernardo, con un ruolo sentimentale non chiaro nei confronti della defunta; Camilo, il fratello spiantato; il Polacco, gestore del bar di quartiere in fuga dal suo passato. Questi i tre protagonisti, circondati da una serie di comparse che fanno capolino nella storia solo per illuminare specifiche prospettive sulla morte di Antȏnia, mai risolutive.

Se infatti l’incidente della ragazza appare a prima vista un mistero per le circostanze e per la dinamica (Con chi era? Dove stava andando o da dove tornava? etc.) sarà vano ogni tentativo di ricostruire l’accaduto. L’indagine frustrata attorno all’incidente infatti non è il vero centro del romanzo, che, pur potendo intraprendere la strada del giallo o del noir, scarta presto verso una dimensione riflessivo-contemplativa concentrata sulle tre figure che gravitano attorno al vuoto lasciato da Antȏnia.

È da questa morte infatti che, come una valanga, prende l’abbrivio il moto di sgretolamento delle loro esistenze, ridotte a solitudini, bloccate nella loro storia irrisolta, fatta di povertà e incuria, di mancanze costanti a cui fare abitudine.

La dimensione memoriale e quella della perdita, il rimorso e il rimpianto, sono le emozioni nere che fin dalla citazione iniziale («You can’t put your arms around a memory») impastano le storie di chi rimane, mandando in cancrena tutti gli aspetti quotidiani dei personaggi: «È lo scarto fra le rare dimenticanze e il ricordo di quasi ogni momento, un gelo che comincia nel cervello e scorre giù nel corpo fino a lasciarti con le gambe molli. E per esempio ti fa scoprire che non c’è più nessuna logica nel venire qui ai giardinetti. Pattinare o giocare a hockey assume un andamento da danza funebre e all’improvviso tutta la vita sembra un’anticamera della morte. Mi capita di continuo».

Nessuno infatti, avvicinandosi alla conclusione del romanzo, riesce a ottenere qualcosa di più rispetto all’inizio della vicenda e spesso neppure a mantenere ciò che già possiede. A niente poi vale la discussione, la ricerca, la fuga da se stessi o l’illusione di un cambiamento («sembrava che [i discorsi] si fossero arrugginiti in qualche posto profondissimo dentro di noi»), su ogni strada si spalanca un vuoto che fa inabissare ogni possibilità di superamento dell’oscurità.

Anche gli spazi percorsi dai protagonisti, sporchi, vuoti e diroccati, contribuiscono ad alimentare la percezione di abbandono; di questi il Bar del Polacco e la casa di Antȏnia e Camilo sono gli unici di cui abbiamo descrizioni chiare e, posti uno dirimpetto all’altro, rappresentano il lugubre e asfittico palcoscenico della vicenda («Riesco quasi a vedere il sudiciume che si appiccica ai muri a poco a poco e le cose che degenerano una dopo l’altra, tipo un giorno che ha piovuto tanto, per cui c’è stato un gatto che ha spostato una tegola, che poi è caduta portandosi appresso un pezzo di intonaco, che poi è finito in qualche posto con l’erba troppo alta, che a sua volta ha attirato gli insetti i cui cadaveri si vedono ancora in fondo alla piscina»).

Per il resto, invece, lontani da ogni suggestione “tropicale” o “esotica”, i luoghi di Biliardo sott’acqua sono quelli di una provincia anonima, ben poco connotata, che hanno molto in comune con i microcosmi creati da autori come Haruf e Drury, piuttosto che con la tradizione sudamericana. Gli ambienti sono genericamente isolati e desolanti, descritti in maniera sfumata, mai precisa, divenendo proiezioni delle riflessioni dei personaggi e dei loro stati d’animo.

Proprio questi luoghi infatti contribuiscono a suscitare una dimensione di inerzia che fa coppia con il senso della perdita, impregnando il cosmo abitato da Bernardo e gli altri. Dai colpi al biliardo, al parlare dei sentimenti, agli interventi di riqualificazione urbana, tutta la realtà di Biliardo sott’acqua dà solamente l’illusione di muoversi, rimanendo invece inesorabilmente ferma e riducendo la vita quotidiana a sopravvivenza: «Lui beve un sorso di caffè e si alza pieno di entusiasmo. Il tipo di entusiasmo accumulato da chissà quanti anni in cui ti sei tenuto pronto nell’attesa di qualcosa che non succede mai. Nel frattempo prendi le ferie pagate, la tredicesima e va benone così. Passi le giornate a fissare un ascensore su uno schermo e l’unico modo per farti salire l’adrenalina è guardare un poliziesco quando torni a casa».

L’attesa di qualche cosa che non accade mai è un ritornello nefasto del libro, lasciando i protagonisti immersi in una palude di contorsioni del pensiero che finiscono per indirizzarsi continuamente alla morte di Antȏnia, agli ultimi momenti passati, alle responsabilità individuali e ai non detti, oramai ingessati in un passato che, se da un lato grava con tutto il suo peso, dall’altro sembra essere a ogni passo più evanescente e insondabile. È in questo modo che la morte di Antȏnia continua a riproporsi nella trama come punto di costante ripartenza e riflessione per tutti.

Descritta più volte come una ragazza fuori dal comune, un fiore sbocciato in mezzo alle macerie, Antȏnia pare conservare in sé troppa bellezza e intelligenza per appartenere a un posto di simile afflizione. Ma il mistero della sua morte ha più a che fare con la realtà descritta da Bensimon che con la vicenda specifica dei protagonisti. Quasi come una Remedios la Bella al negativo, Antȏnia ha indorato per tutti i suoi anni le vite degli altri, illudendoli che la realtà non fosse solamente quel vuoto appiccicoso in cui si ritrovano intrappolati. Scopriamo quindi a lettura terminata che la sua morte non è l’inizio di una decadenza per i protagonisti, ma che quella decadenza era sempre stata lì in agguato, mitigata dalla presenza vitale della ragazza. Inoltre, l’inspiegabilità di una morte così stupidamente incosciente e l’incapacità di trovare soluzioni, sembrano essere un avvertimento della realtà: in quei luoghi non c’è speranza di redenzione e tutto ciò che differisce dalla passiva viscosità di quell’ambiente viene soppresso ed eliminato.

In un romanzo fatto di disperazione e frustrazioni, Bensimon mette in scena una storia completamente immobile e irrisolta che dà spazio a un tragico silenzioso, raccontando un Brasile mai visto, ben lontano dai colori sgargianti delle cartoline per turisti, ai margini delle cartine e delle mappe, dove tutto congiura verso l’annichilimento e il tempo si impaluda in ciclicità indistinguibili: «Deve esserci stato un buon motivo per scattare questa foto. Non ne abbiamo scattate molte in vita nostra. Non avevamo il tempo né il denaro per preoccuparci dei ricordi, o almeno così diceva mia madre: il passato è per chi se lo può permettere».

(Carol Bensimon, Biliardo sott’acqua, trad. di Daniele Petruccioli, Tunué, 2019, pp. 144, euro 17, articolo di Alessandro Mantovani)
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LA CRITICA

Un romanzo costruito su vuoti e silenzi, dove le fragilità non banali dei protagonisti diventano padrone della narrazione.

VOTO

7/10

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