La casa come la fortezza Bastiani

“Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati

di / 7 maggio 2020

copertina di Buzzati Deserto dei tartari

Inesorabilmente, nella vita di ogni essere umano, sorge prima o poi l’annoso quesito su quale sia il senso del percorso terreno. Tale interrogativo cominciò a interessare le riflessioni degli intellettuali esistenzialisti nella prima metà del ventesimo secolo, i quali riflettevano particolarmente sull’insensatezza e sull’assurdità della vita umana nonché sulla solitudine dell’uomo, soprattutto quello moderno. Tra i principali esponenti di tale corrente letteraria e filosofica è indubbiamente da annoverare lo scrittore e giornalista Dino Buzzati, non a caso definito Kafka italiano, conosciuto prevalentemente per il suo capolavoro Il deserto dei Tartari, pubblicato nel 1940. Dacché, com’è noto, le vicende autobiografiche influiscono sempre sulla poetica degli scrittori, è necessario ricordare che anche il capolavoro di cui trattiamo è inestricabilmente legato al lavoro compiuto dallo scrittore nella redazione del Corriere della Sera, iniziato alla tenera età di ventuno anni, nel 1928, e condotto fino alla sua dipartita, datata 1972.

Il protagonista Giovanni Drogo, infatti, prende servizio, con l’incarico di tenente, presso la fortezza militare Bastiani, posta di fronte a un deserto ai confini dello Stato, la cui esistenza è dovuta alla salvaguardia dall’invasione dei famigerati Tartari. Pur sentendo inizialmente l’esigenza di fuggire da quel luogo inospitale, improvvisamente decide di trascorrervi anno dopo anno, fino a invecchiarvi, con l’obiettivo di ricercare la gloria in combattimento contro il famigerato esercito dei Tartari. Le riflessioni e le speranze del protagonista sono assimilabili a quelle dell’autore, che, non casualmente, aveva usato lo pseudonimo di Giovanni Drogo per firmare precedentemente un racconto: anche Buzzati era arrivato a un’età simile presso la redazione del Corriere della Sera, ricercandovi, come i colleghi, una grande occasione (come la chiama Buzzati in un’intervista rilasciata anni dopo, relativa alla genesi dell’opera) per la propria carriera, che tuttavia stentava ad arrivare, rendendo la vita un qualcosa di vuoto e privo di senso.

Gli anni trascorrono implacabilmente per il protagonista all’interno della fortezza militare, tuttavia la grande occasione della battaglia gloriosa persistentemente vagheggiata non arriverà: due sono i momenti in cui essa sembra in procinto di arrivare, ma nella prima occasione il protagonista si illude invano, nella seconda, quando il tenente Drogo intravede i nemici all’orizzonte col cannocchiale, l’uso di tale strumento viene vietato inspiegabilmente dai superiori. La fortezza Bastiani si rivela quindi un’allegoria dell’esistenza di ogni essere umano (e non solo di Dino Buzzati), il quale attende incessantemente qualcosa che non si realizzerà mai, e che, anche qualora accadesse, non potrà essere raggiunto dall’uomo. Il tempo trascorre speditamente, senza che il singolo se ne accorga e, anche qualora l’occasione vagheggiata arrivasse, tuttavia sarebbe troppo tardi per coglierla: alla fine del romanzo, l’invasione dei Tartari si manifesta quando Giovanni Drogo è oramai anziano e impossibilitato tanto alla battaglia quanto ad assistere a tale momento così bramato, poiché il tenente colonnello Simeoni, fino ad allora ritenuto un amico, destina la sua stanza a soldati pronti per il conflitto, ordinando che il protagonista si allontani dalla fortezza. Drogo muore isolato, in una locanda, e affronta la morte a testa alta, senza timore.

In un mondo che, rispetto al 1940, si ritrova ancor maggiormente in crisi di ideali, la lettura del capolavoro di Buzzati (accomunato in ciò a Salvatore Quasimodo che sviluppa la medesima tematica nella celeberrima Ed è subito sera: «Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera») non potrà dare alcuna risposta a un lettore che vi si imbattesse per caso, anzi porrà probabilmente nuovi interrogativi: tuttavia, potrebbe indurre il fruitore dell’opera, possibilmente un «uomo che se ne va sicuro / agli altri e a se stesso amico» (tanto deplorato da Montale), a cercare di indirizzare verso un intento utile la propria caduca esistenza. Del resto, Buzzati ha il merito di aver scritto un romanzo che, rendendo assolutamente non tediosa la monotonia della vita del protagonista, immerge il lettore in un’atmosfera rarefatta e senza alcuna connotazione spazio-temporale; tutti noi potremmo essere Giovanni Drogo.

Specialmente se riflettiamo sui nostri giorni, che vedono la maggior parte della popolazione reclusa nella propria abitazione per via del Coronavirus, Il deserto dei Tartari potrebbe indurre il lettore a ripensare alle priorità e agli scopi della propria vita radicalmente mutata in pochi giorni; anche per tale motivo, un classico come questo libro, sempre di stringente attualità, dovrebbe essere una delle letture privilegiate tanto dagli Italiani quanto da tutti gli altri Paesi che affrontano una dura quarantena.

 

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