L’insensatezza del reale

“Le ripetizioni” di Giulio Mozzi

di / 23 marzo 2021

Copertina di Le ripetizioni di Giulio Mozzi

Se il tutto è più della somma dei singoli elementi, allora sovrapporre gli episodi dell’intera vita di un uomo non è sufficiente a restituirne il valore. Il tentativo della memoria di attribuire il carattere di linearità a quel sistema complesso di eventi è solo un modo qualunque – per di più fallimentare – di voler dare ordine laddove regna il disordine.

Quando Mario, ex sindacalista, adesso scrittore quarantenne di discreta fama, protagonista del romanzo Le ripetizioni di Giulio Mozzi (Marsilio, 2021), comincia a raccontare ai suoi uditori il primo di una serie di fatti capitatigli in passato, pare guidato dalla volontà di tracciare una narrazione coerente di sé stesso, solleticata da quella particolare congiunzione di sensibilità interne e condizioni esterne che può rivelarsi decisiva o passeggera, a seconda del caso.

Mario si divide tra Padova, dove ha una relazione con Viola, che sta per sposare, e Roma, dove si reca spesso per lavoro e dove vive Bianca, una donna alla quale è profondamente legato. La sua è una quotidianità poco invidiabile, fosse solo perché è sovrapponibile, all’apparenza, a quella di moltissimi altri uomini adulti e non sposati, e non sembrerebbe neppure necessario raccontarla, fatta com’è di momenti trascurabili passati in treno, a leggere manoscritti o libri come Dance dance dance, di visite al pittore e amico Gas e di numerose elucubrazioni sul “nulla”.

Eppure, in questa perenne frammentarietà e inconcludenza, anche un singolo momento, pescato al buio tra gli altri, può ergersi – parte per il tutto – a elemento chiarificatore e assoluto. È quanto capita a Mario, in apertura del romanzo, durante una passeggiata nel giardino di Boboli a Firenze, quando si imbatte nel profumo del bosso che, come una madeleine proustiana, rimette in circolo nel sangue il ricordo del passato: fatti realmente accaduti, o rivoluzionati dagli anni e dalla dimenticanza, o, ancora, inventati di sana pianta; persone senza volto, che tornano come fantasmi nel presente per deturparlo; luoghi, cose, sentimenti assopiti o semplicemente relegati negli angoli più bui della memoria. Tutto pare ritornare a galla a partire da quella spinta iniziale.

Dall’evento epifanico si scatena un unico grande interrogativo:

«Che cosa importa, se un ricordo è vero o falso? Che cosa importa, se la nostra vita, la vita di chiunque, è vera o inventata? Il passato è passato, e non ha nessuna consistenza reale; le conseguenze sono eventi nuovi, e che veramente conseguano dal passato, e se questo eventuale conseguire dia veramente una consistenza reale al passato, è un’immaginazione come un’altra. E le invenzioni della fantasia, le storie raccontate, i sogni, i ricordi, non sono né più né meno reali di queste mani che sollevo davanti alla faccia, e guarda, di te che mi ascolti, della storia che ti ho appena raccontata. La nostra vita reale, se è reale davvero, questa fu l’ultima parola di Mario, avviene ora; e niente è più fuggevole e impalpabile dell’ora».

È ininfluente – per il Mario che racconta, per il narratore (i narratori, forse) che riporta, per il lettore che legge – che non ci siano mai stati fiori di bosso nell’infanzia di Mario bambino. Poco importa che l’espediente narrativo possa basarsi o meno su una menzogna o su una rielaborazione fallace della memoria: la posta in gioco, ovvero il significato della propria esistenza declinata al tempo presente, non è messa in discussione in nessun caso. Si apre così lo spazio per un insieme infinito di ricordi e situazioni, capaci di sussistere nelle pagine del libro anche in maniera indipendente.

In questo bestiario umano che prende vita, ciò che emerge, però, è sempre un inossidabile lavorio dell’inconscio, che si affanna, nell’insensatezza dilagante, per fare chiarezza tra doppie (o triple) vite, tra scene di violenza fulminante e oggetti inutili consacrati a corpo e sangue di Cristo. L’inadeguatezza dell’uomo è la condicio sine qua non per l’esplorazione letteraria più oscura o – dipende dal punto di vista – più illuminante. Mozzi gioca con quel personaggio-io del romanzo prima ancora che con il lettore succube e ormai catturato, stratificando la materia narrativa ed esasperandone le derive psicologiche senza fornire né strumenti di interpretazione né scappatoie. Lo spaesamento, caricato al massimo per 355 pagine, non si esaurisce in chiusura, dove anzi aumenta per essere troncato repentinamente alla fine, con un taglio netto.

 

(Giulio Mozzi, Le ripetizioni, Marsilio, 2021, pp. 368, euro 17, articolo di Giovanna Nappi)
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