Il rancore vivente di Hukuméiji

A proposito di “Assedio animale” di Vanessa Londoño

di / 14 dicembre 2022

Assedio animale di Londono

«Questo paese è pieno di echi. Ti sembrano rinchiusi nel vuoto delle pareti o sotto le pietre. Quando cammini, senti che ti calpestano i passi. Senti degli scricchiolii. Risate. Risate ormai molto vecchie, come stanche di ridere. E voci ormai logore dall’uso. Senti tutto ciò. Penso che arriverà un giorno in cui questi rumori finiranno».

Queste sono le parole che Juan Preciado, il protagonista di Pedro Páramo del messicano Juan Rulfo, sente pronunciare da Damiana Cisneros, uno dei fantasmi di Comala, città messicana immaginaria situata nei pressi di Colima e caduta in rovina a seguito della rabbia – o meglio, del «rancore vivente» – di Pedro Páramo, colui che attraverso la corruzione, l’omicidio dei rivali e i matrimoni di convenienza è riuscito a tenere il potere sulla città.

Juan Rulfo racconta una storia di denuncia dello sfruttamento dell’America Latina da parte di proprietari terrieri corrotti e di colonizzatori che mancano di rispetto ai luoghi e alle tradizioni indigene e autoctone. La descrizione che Rulfo fa di Comala – e più in generale dell’America Latina – è però quella di un luogo pieno di spiriti, di rancori mai sopiti, che prima o poi chiedono il conto agli sfruttatori per vendicare gli oppressi.

Juan Rulfo è anche il punto di riferimento dell’autrice colombiana Vanessa Londoño, di cui Polidoro Editore ha pubblicato Assedio animale, tradotto da Massimiliano Bonatto. Londoño ambienta il suo romanzo nel paese immaginario di Hukuméiji, nei pressi del fiume Don Diego. Quella di Hukuméiji è «una geografia profonda e piena di animali» che «assediano le persone nelle loro case, al lavoro, in tutti i luoghi chiusi in cui vivevano». È un luogo che ribolle di una memoria fatta di corpi deformati e mutilati, di terre espropriate e paesaggi distrutti dall’arroganza del potere.

La memoria si risveglia – e questa è una prima somiglianza con Pedro Páramo attraverso una pioggia torrenziale che riporta a galla i cadaveri del passato e che trascina con sé ciò che resta in un processo di ricordo e oblio senza tregua. Così riaffiorano i ricordi di Fernanda Huanci, la india che ha perso le gambe perché indossava gli stivali mentre lavorava la terra, di Yarima, la levatrice a cui è stata tagliata la lingua per essersi opposta all’accoppiamento forzato con il Torero, quelli di un padre a cui hanno sparato agli occhi per essersi opposto all’esproprio delle terre da parte di una multinazionale, e infine di una ragazza a cui sono state tagliate le mani perché accusata ingiustamente di furto di bestiame. Tutte queste sono storie che la penna di Londoño rievoca mescolando – parafrasando T.S. Eliot – memoria con desiderio, inteso come «corpo che insegue se stesso fino a saziare l’imprevedibile geografia dei suoi appetiti», fino al momento in cui riesce a soddisfare la propria sete di vendetta.

Assedio animale ha però molti altri punti di contatto con Pedro Páramo. Fra questi la denuncia dello sfruttamento e dell’oppressione, e l’esercizio della memoria realizzato attraverso uno stile modernista e suggestivo in cui passato e presente, fantasmi e luoghi in rovina si uniscono in un unico flusso di coscienza. A differenza di Rulfo, Londoño opera un passo in più che, come spiega in una recente intervista rilasciata per «Al dìa», consiste nel «creare la tensione – che si vive in America Latina – tra esercizio di memoria e dimenticanza persistente». Questo contrasto fra memoria e oblio è molto sentito in America Latina, specie se si tiene a mente la questione dei desaparecidos e della deforestazione dell’Amazzonia, dove il paesaggio naturale è sempre accostato alle tradizioni e alla cultura indigena.

Parlando di rapporto fra luogo e memoria, un altro romanzo che viene in mente in questo senso è La donna abitata della nicaraguense Gioconda Belli. Sebbene sia più incentrato sul rapporto fra il corpo femminile e l’opposizione armata alla dittatura, Assedio animale condivide con La donna abitata la stessa tensione fra memoria e presente attraverso gli spazi. Basta leggere questo brano tratto dal romanzo di Belli, dove a parlare è lo spirito della guerriera indigena Itzà, motore dell’azione della protagonista Lavinia:

«Sono io stessa parte di un giardino. E quest’albero vive di nuovo nella mia vita. Era tutto malandato, ma io ho fatto scorrere nuova linfa in tutti i suoi rami e, quando verrà il suo tempo, darà frutti e allora il ciclo ricomincerà ancora».

Quello che descrive qui Belli è simile a ciò che si legge in Londoño. In entrambe gli spazi e i luoghi della narrazione sono intrisi di memoria e di passato. Ogni elemento ambientale infatti è collegato a un passato di violenza che costringe sia i personaggi che i lettori a fare un esercizio di memoria necessario: i personaggi per confrontarsi con le proprie colpe, sebbene un’espiazione vera e propria come in Pedro Páramo sia impossibile; i lettori per avere consapevolezza di quanto ancora sia influente il passato coloniale del Sudamerica. Nel fare ciò, Londoño lavora rappresentando le ferite dei luoghi e delle persone, le cicatrici che faticano a rimarginarsi senza l’esercizio della memoria, che costituisce lo scopo principale della letteratura dell’autrice colombiana, come scrive all’inizio del libro: «Credo che la letteratura sia l’atto di restituire vitalità agli arti mozzati, di raccontare le storie dei corpi che si ostinano a ricordare le parti mutilate e i loro fantasmi».

L’importanza che Londoño dà agli arti mozzati la si comprende dalla struttura del libro. Esso si suddivide in quattro parti, che corrispondono a quattro personaggi a cui manca una parte del corpo: a Fernanda le gambe, a Yarima la lingua, al padre gli occhi e alla ragazza le mani. Questi arti fantasmi costituiscono insieme un corpo che, come dice Yarima nel secondo capitolo, permette all’autrice di inventare una storia che molto ha a che fare con la realtà, in particolare la Colombia, paese martoriato dalle multinazionali, dalla sopraffazione dei signori della droga e dalla guerriglia armata:

«Il mio corpo deve sforzarsi per risanare, tanto che i suoi punti di sutura non fanno più miracoli, e adesso le cicatrici spiccano come larve sporgenti incapaci di trasformarsi in pelle. Alla mia età la guarigione diventa meno prodigiosa e questo fa sì che le mie gambe assomiglino a un inventario di storie, di ferite in ritardo, incapaci di migliorare».

La tensione fra ricordo e oblio è molto forte: c’è la voglia di dimenticare e voltare pagina e la difficoltà nel farlo, al punto che è necessario raccontare il proprio dolore per espellerlo. Raccontare però equivale in questo caso ad abbandonarsi al rancore per i soprusi subiti:

«Strofino con rancore il corpo sulle piastrelle per assicurarmi che non ci sia sabbia e questo mi intristisce, ma di colpo sento che sui moncherini mi cresce un paio di mani nuove, che al mio corpo crescono le gambe tagliate di Fernanda Huanci, che dall’esofago mi cresce lo scheletro immune della lingua tagliata alla levatrice muta, che nelle mie orbite sgorgano nuovi occhi, quelli perduti dal padre del soldato per i pallini da caccia conficcati nelle retine».

Ed è qui che ritorna, dunque, Pedro Páramo: sia la pioggia che gli arti mutilati dei personaggi sono espressione di un incessante rancore vivente, che se nel caso di Rulfo scompare con la morte, in Londoño è destinato a riemergere: la pioggia che alimenta il fiume non solo fa riaffiorare «i corpi trascinati dalla valanga di fango, ma anche quelli abbandonati tempo indietro», e rivendica «l’antico territorio» conquistato dagli oppressori. Tutto questo avviene in maniera incessante, senza tregua, così come senza tregua sono le voci dei fantasmi del passato, destinate a non zittirsi mai. Voci alimentate dalla letteratura, che dà vita ai fantasmi per vendicarli dei torti subiti.

Con Assedio animale Vanessa Londoño ritrae usando uno stile fra sogno e realtà una storia di rabbia mai sopita e ferite difficili da sanare. Nel paese immaginario di Hukuméiji e nella sua pioggia torrenziale si può rintracciare la storia di qualsiasi stato sudamericano, che sia la Colombia della stessa Londoño, il Messico di Rulfo o altri ancora: paesi martoriati dall’oppressione, in cui ogni luogo e ogni ferita costringe a un confronto serrato con il passato. Queste cicatrici, però, sono destinate a non rimarginarsi mai se non attraverso la letteratura, che parte dalle cicatrici per vendicare gli oppressi. Come disse una volta la poetessa Carmen Yañez, «la poesia è la mia dolce vendetta»; per Londoño invece la letteratura è una vendetta senza fine, che non avrà pace finché non avrà assolto al suo compito: costringere le persone a fare esercizio di memoria per vendicare i fantasmi del passato.

 

(Vanessa Londoño, Assedio animale, trad. di Massimiliano Bonatto, Alessandro Polidoro Editore, 130 pp., euro 15,00, articolo di Alberto Paolo Palumbo)

 

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