Il mistero dei resti di Leopardi: a tu per tu con Loretta Marcon

di / 22 giugno 2012

«Gli uomini preferirono le tenebre alla luce». Il versetto evangelico posto in epigrafe a “La Ginestra” sembra esplicare fin troppo bene anche il capitolo conclusivo della vita di Giacomo Leopardi. «Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor»: Giacomo sapeva che gli uomini odiano la verità e chi osa pronunciarla. Mai avrebbe però potuto immaginare che tenebre e inganni si sarebbero accaniti su di lui, persino da morto. Un’ombra infida e ambigua proveniente in special modo dall’amico dei soggiorni napoletani, Antonio Ranieri. Tenebre finora mai illuminate a giorno, che dopo un’esistenza tanto sofferta non gli hanno concesso neanche una degna sepoltura. Sì è vero, i manuali scolastici ci hanno sempre raccontato che le spoglie mortali di Giacomo erano state sepolte a Napoli, prima nella chiesa di San Vitale poi al parco Vergiliano di Fuorigrotta. È bene invece azzerare le nostre memorie per addentrarci in trame melmose e torbidi retroscena. Loretta Marcon, scrittrice, filosofa, studiosa di Leopardi da molti anni, da investigatrice dotata di sensibilità e fiuto, è andata sulle tracce di un’altra verità, una scomoda verità, sepolta in biblioteche e archivi dimenticati, fatta riaffiorare dopo sei anni di ricerche. Nel monumento funebre di Fuorigrotta non ci sono i resti di Giacomo. Esito di questa lunga, rigorosa e appassionata ricerca è il volume Un giallo a Napoli, la seconda morte di Giacomo Leopardi (Guida Editore, 2012) che sarà presentato proprio a Recanati, a palazzo Leopardi, lunedì 25 giugno alle ore 18 (il libro sarà disponibile al pubblico già da agosto presso l’editore Guida di Napoli). Troppe cose non sono chiare nella vicenda della morte e sepoltura del grande recanatese. In realtà nel 1900, quando fu fatta la ricognizione dei resti mortali, ci si accorse che i pochi frammenti di ossa non potevano affatto essere quelli di Leopardi. Il femore era molto più lungo, mancava il teschio e non sono proprio dettagli di poco conto. Nonostante questo quadro si volle “seppellire il problema”, si preferì far finta di nulla, come spesso capita nelle vicende nazionali; sorte indegna che capita alle grandi personalità di una patria ingrata. Anzi, nel 1939 i presunti resti del poeta furono trasportati con solenni cerimonie al Parco Vergiliano di Napoli dove tuttora stanno. A Loretta Marcon abbiamo chiesto qualche chiarimento e anticipazione.


Professoressa Marcon, dopo aver a lungo indagato sui riferimenti biblici nella produzione leopardiana, stavolta lei ha spostato l’attenzione su una questione assai più contingente: quella delle spoglie mortali di Giacomo. Quale urgenza in particolare ha ispirato il suo ultimo libro, un giallo in piena regola fin dal titolo?

Ero all’inizio del mio percorso leopardiano (1992) e mi interessavano particolarmente quei temi che riguardavano la spiritualità di Giacomo Leopardi. Mentre studiavo un testo nella biblioteca del Centro Studi leopardiani di Recanati, mi sono imbattuta nel racconto di queste vicende. Dato il mio orientamento, temi come la sua conversione (la metterei tra virgolette perché per me non si tratta di una con-versione ma della conclusione di un particolare cammino e del passaggio dalle certezze di fede ai dubbi e alle domande finanche a certe affermazioni blasfeme) la sepoltura misteriosa risultavano per me particolarmente interessanti. Ho iniziato così a raccogliere poco per volta tutto il materiale che trovavo anche grazie ad altre ricerche. Più di sei anni fa mi sono dedicata al lavoro vero e proprio di indagine storica, visitando archivi e biblioteche e ho capito che era giunto il momento di iniziare questo nuovo libro.
 

Esistono da qualche parte le spoglie mortali di Giacomo e se sì dove sono?

Le spoglie mortali di Leopardi esistono senz’altro. Purtroppo possiamo ragionare oggi solo per ipotesi perché non solo i fatti, nella loro verità, sono stati accuratamente nascosti da Antonio Ranieri che ha fornito diverse versioni, ma anche perché certi importanti archivi sono andati distrutti. Perciò molto difficilmente si potrà provare scientificamente dove siano i resti del poeta italiano più amato. Potrebbero essere altrove. L’ipotesi più accreditata è che il suo corpo sia finito in una delle fosse comuni dei morti per colera, come prevedeva la legge.
 

Perché la verità è rimasta “sepolta” fino a oggi e le dicerie, come le leggende, hanno avuto il sopravvento?

La verità è tuttora sepolta, come dicevo prima, anche se considerando certi indizi e particolari documenti si può ipotizzare qualcosa di plausibile e di più “completo” rispetto alle consuete tesi. Queste, fino a oggi, si limitano ad affermare che la sepoltura sarebbe avvenuta nel cimitero dei colerosi e non in una chiesa come voleva far credere Ranieri. A Napoli molte tradizioni e leggende si accavallano anche oggi, persino tra la gente comune, e si sentono raccontare le cose più disparate.


Come, quando, e soprattutto dove è morto Giacomo?

Giacomo Leopardi è morto a Napoli, nella casa di Vico Pero, Quartiere Stella. Qui sorge una lapide a ricordo della sua permanenza. Morì il 14 giugno 1837 e secondo il certificato medico spirò a causa di una «idropericardia» e non per colera come ipotizzano molti.
 

Chi era davvero Ranieri e che interessi aveva a occultare la verità?

Dire chi fosse Antonio Ranieri sarebbe ora troppo lungo. La sua personalità era assai complessa e i suoi interessi multiformi. Anche per capire il perché del suo occultare la verità bisognerebbe fare un lungo discorso per cui mi permetto di rimandare al libro.
 

Cosa seppero o vollero sapere realmente i familiari dell’intera vicenda? Presero parte alle procedure funebri o lasciarono ad altri il compito?

I familiari conobbero la notizia della scomparsa di Giacomo attraverso le lettere che Ranieri fece loro inviare da altri per rendere meno atroce la notizia. Il colera infuriava violento in quel periodo ed era impossibile anche solo il pensare di compiere un viaggio a Napoli.
 

Ci sono altri segreti che gli archivi ancora custodiscono a proposito della vita e delle sorti di Giacomo?

In questa vicenda vi sono ancora molti misteri e purtroppo temo che tali rimarranno a meno che un colpo di fortuna faccia ritrovare qualche altro documento magari oggi in mano a privati.
 

Come Tolstoj (proprio a palazzo Leopardi, Recanti, quest’estate è stata allestita una mostra su Tolstoj e Leopardi), anche Giacomo “in fuga” ebbe una morte distante dalla famiglia e dalla casa. Di lui però, al contrario di Tolstoj, si è trasmessa l’immagine di un materialista ateo. Lei che lo studia da tanti anni che sentire ha in proposito?

Come dicevo all’inizio di questo dialogo, non ho mai pensato che Leopardi fosse materialista e ateo come la critica ufficiale, specialmente quella dal 1947 a oggi, si ostina ad affermare. Troppe pagine leopardiane ci dicono il contrario. È stato detto da Giovanni Casoli che Leopardi «sfugge alle reti dei cacciatori, capace di irretirli ancora prima che sia abbozzato il gesto della cattura». Dopo tanti anni vissuti insieme al Nostro penso che sia necessario esplorare approfonditamente tutto Leopardi (non solo la poesia o contrapposta al pensiero) con una grande umiltà intellettuale e credo altresì indispensabile sospendere il giudizio, almeno finché non si riesca a spiegare esaurientemente anche ciò che fuoriesce da quello che appare essere una specie di ingabbiamento pregiudiziale.
 

Cosa insegna la parabola conclusiva della vita di Giacomo?

Gli insegnamenti leopardiani sono di un’attualità sconvolgente e forse per questo qualsiasi esperienza vissuta oggi ricalca quelle vissute in altro tempo, quelle di cui il poeta-filosofo ci parla. Lavorando sul rapporto con Giobbe e con l’Ecclesiaste mi sono accorta, una volta di più, di quanto si avvicini ai sapienziali biblici quando parla e canta il dolore dell’uomo. Anche Leopardi è da meditare… un po’ come faceva il grande papa che fu Paolo VI.
 

Ha in programma altri studi leopardiani?

Le confesso che ora ho bisogno di riposo perché questo lavoro è stato davvero tanto impegnativo ma ho già qualche altra idea e se Giacomo vorrà cercherò di portarla a compimento.

Nota sull’autrice
Loretta Marcon è laureata in filosofia e in pedagogia e ha conseguito il Magistero in Scienze religiose. Nel 1992 inizia a interessarsi di temi leopardiani e in particolare della spiritualità del poeta-filosofo di Recanati. Ha collaborato con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova in occasione del bicentenario leopardiano (1998); attualmente collabora con la Facoltà di Scienze della formazione e fa parte del Consiglio editoriale della rivista on-line Appunti leopardiani. Il suo primo saggio La crisi della ragione moderna in Giacomo Leopardi (1996) ha ottenuto il premio Giacomo Leopardi al concorso indetto dal Centro Nazionale di Studi leopardiani di Recanati.

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