Le scelte di Achab: a tu per tu con Giulia Ichino (prima parte)

di / 16 novembre 2012

Incontrare Giulia Ichino, editor Mondadori per la narrativa italiana, è come passare il Rubicone di parole e dubbi reciproci che dividono spesso chi quel mare di parole l’ha creato (lo scrittore) e chi, invece, in quel mare decide di tuffarsi (l’editor appunto), per scoprire se nei suoi fondali c’è qualche perla da sollevare trionfante o almeno una grossa ostrica, che quella perla la sta ancora fabbricando.

Il problema o l’opportunità, a seconda del livello di ottimismo su cui navigate, è che questo mare è diventato all’improvviso un oceano in tempesta, con una miriade di nuove correnti di trame fra cui scegliere e un brulicare di pesci-personaggi che sbucano fuori dalla loro storia, spesso senza alcuna idea della direzione che volevano prendere. Nel frattempo poi agli editor, novelli capitani Achab (che la loro balena bianca non la vogliono uccidere, ma solo tenere tutta per sé, perché possa continuare a produrre parole in un’area protetta), hanno cominciato a togliere le navi, anzi le vele della promozione da usare per scegliere il vento più giusto per arrivare sull’isola di lettori onnivori. Gli scrittori così si sentono sempre più soli e nella solitudine ricominciano compulsivamente a scrivere, generando il loro mare di parole. Come tartarughe giganti, sembrano non aspettare che le loro uova si schiudano per seguirle e accudirle mentre si uniscono al grande oceano, ma saltano subito su una nuova trama, più importante, più d’effetto, più contemporanea, più “di moda”, con la quale sono sicuri di raggiungere finalmente il loro pubblico, i loro lettori ideali, che in quanto tali, probabilmente non esistono; purtroppo nessun Achab tirerà la loro trama sulla nave e così a noi lettori toccherà l’ennesimo libro giallo, con l’ennesimo commissario, murato nel suo provinciale e sicuro ritaglio d’Italia. Nella storia non dimentichiamo la piovra gigante del marketing, che tutto sa e se non sa, crea, decidendo le sorti dell’oceano di parole e di tutti i suoi naviganti.


Cosa ne pensa Giulia Ichino di questo mio burlesque d’ispirazione melvilliana? Rispondente alla realtà? È vero che il mare di pubblicazioni in Italia è diventato un oceano incontrollabile che separa sempre di più scrittori e editor? Così come sono sempre minori i mezzi per promuovere o sostenere tutto ciò che si pubblica? E se è così, perché continuare?

Poni questioni gigantesche, come il mare che descrivi in maniera così suggestiva. È giusta l’immagine dell’editor e della sua ricerca, dell’impazienza di chi scrive, così come quella delle uova, che mi piace molto perché per chi lo scrive un testo diventa come un figlio: e la natura profondissima del legame fra autore e testo un editor la deve conoscere e rispettare. Detto questo ed essendo verissime queste cose dal punto di vista emotivo, confermo che siamo di fronte a un mare, che è in tempesta, ma non è incontrollabile. Non è impossibile proporre nuovi libri oggi. Certo, siamo in un momento di produzione editoriale sconfinata, anche senza tenere in considerazione il self-publishing; solo con gli eBook le possibilità per chiunque di essere presente nel panorama editoriale sono enormemente amplificate. A me capita spesso di decidere sulle sorti di un romanzo, scegliendo alla fine di non proporlo per la pubblicazione e non perché sia “brutto” o immeritevole di essere stampato (questo tipo di testi sono spesso già scartati a un primo esame), ma perché quello che io sono chiamata a esprimere non è – o non solamente – un giudizio estetico assoluto ma in primo luogo la valutazione di un funzionario editoriale in relazione ai progetti della casa editrice. La quale, in questo caso, è una grande casa editrice generalista con tutte le straordinarie opportunità ma anche con i confini che questo comporta. Noi ci rivolgiamo a diversi tipi di lettori e, nello stesso tempo, ci misuriamo con tutta l’articolazione della narrativa che viene letta oggi in Italia – verso l’“alto” e verso il “basso” del mercato (per quanto io non ami queste categorie) –, cosa che ritengo estremamente stimolante.

È vero che quando arrivano tantissime proposte rischi di non vederne più nessuna. Scegli alcune scommesse forti su cui si lavora e per altre meno forti non si parte proprio. Nell’archivio che è alle tue spalle sono conservati anni di “pareri” editoriali, le lettere di Gallo, Vittorini, Sereni, Pontiggia, i loro scambi su testi su cui si confrontavano e discutevano a lungo prima di decidere per la pubblicazione o il rifiuto. Io non ho vissuto quel tempo da massimo 10 libri di narrativa all’anno e relativi successi da 20mila copie, quando tutto veniva fatto con ritmi oggi inimmaginabili e con la possibilità di dedicare a ogni passaggio editoriale un tempo di “gestazione” di mesi e anni. Sono arrivata in Mondadori quando la narrativa italiana letteraria la facevano Renata Colorni e Franchini, quella commerciale Magagnoli: oggi è diverso, la narrativa italiana è gestita “tutta insieme”, dai thriller ai premi Strega, con una cinquantina di titoli all’anno, e spesso anche di più. Questo però non vuol dire che le potenzialità per un autore di questi 50 siano minori oggi di cinquant’anni fa. Chi vende poco oggi, spesso vende un po’ di più di quelli che vendevano poco un tempo. Un libro può trovare i suoi lettori in posti lontani, grazie alla Rete. C’è quindi la speranza che il dominio dei megaseller serva comunque per tenere in piedi realtà come questa e posti di lavoro, permettendo di lavorare su due binari, dedicando ai lettori che possono apprezzarlo libri diversi, pubblicati con numeri diversi.

Noi non scriviamo libri, noi possiamo un po’ migliorarli, scegliere il titolo giusto, la grafica, ma poco di più. Oggi le prime tirature sono spesso più limitate rispetto a quelle che vorremmo far uscire. Quando noi le proponiamo ai circuiti distributivi ce le abbassano. Ciò avviene di certo perché noi editori riforniamo i librai in tempi sempre più veloci – quindi se un libro “si muove” e il libraio ne aveva prenotate poche copie, quelle nuove arriveranno tempestivamente –, ma principalmente per la sempre più scarsa propensione al rischio che caratterizza questo periodo di crisi, spingendo i librai a privilegiare titoli di autori “sicuri” a emergenti o esordienti. Tanto che noi, come molti altri editori (vedi Garzanti), prepariamo per i librai materiale di supporto, punti forti del volume, connessione al filone, agli altri testi analoghi, cronistoria nascita dell’opera, tutto pur di convincerlo a offrire un’opportunità a un titolo “nuovo”. Prima ciò non era necessario, questa analisi la faceva il libraio. Anche in quest’ambito, la Rete può essere una strada in più per la fruizione dei contenuti in termini promozionali. Ma nemmeno questa è la “bacchetta magica” che si potrebbe sognare. E il “vecchio” passaggio in tv? Non assicura più il movimento di prima. Quindi alla fine ciò che è vero è che regole non ne esistono. Le risorse sono limitate, sì, quindi siamo costretti a scelte forti, lavoriamo sui due binari: consolidamento letterario e andamento commerciale. Di solito, però, il primo non garantisce il secondo.


Quale e quanta attenzione pone un editor nei confronti dei lettori? Ossia quando sta leggendo un testo lo considera più o meno valido in funzione del gruppo di lettori cui potrebbe essere proposto? Si è mai trovata di fronte a un libro che considerava eccellente e che non ha potuto far uscire per timore di non trovare il cluster giusto di lettori cui offrirlo?

Cerco sempre di mantenere un minimo di distanza fra la mia sensibilità e la percezione che del testo potrebbe avere il lettore. Quindi sì, mi è capitato di trovarmi di fronte a un libro che consideravo “significativo per me” e che ho rifiutato. Con questo non voglio dire che esista un “paradigma” valido per tutti i libri Mondadori! Noi eravamo e siamo generalisti, ma con una viva attenzione alla letteratura, alla ricerca – senza la quale non si crea nulla di nuovo, senza la quale si può essere buoni stampatori e distributori o al massimo buoni “publisher”, ma non editori degni di questo nome. Arnoldo Mondadori era un contadino delle campagne mantovane che ha iniziato stampando i giornaletti per i militari reduci da Caporetto, poi è passato ai sussidiari per la scuola, si è arricchito e ha iniziato a invitare a casa sua in villeggiatura scrittori come Thomas Mann pubblicando anche Margaret Mitchell, quella di Via col vento, e tanti altri grandi romanzi popolari. Arnoldo fu uno dei pochi ad avere la forza di far circolare un po’ di letteratura americana durante il fascismo, sebbene sia stato criticato – anche da suo figlio – per non essersi schierato apertamente contro il regime. Da un certo punto di vista sarebbe molto più facile lavorare in una realtà, per fare un esempio, come quella di minimum fax, che ha un’identità storico-culturale nettissima, ma trovo divertente, vivificante lavorare in Mondadori proprio perché la casa editrice ha un’anima laica, mobile, aperta. La nostra linea editoriale è quella di una ricerca costante volta a dissodare nuovi territori e insieme a raggiungere i lettori appassionati dei generi più svariati. Certo, tendenzialmente ci si propone di arrivare in libreria con un numero di copie “visibile”, almeno superiore alle cinquemila. Da noi alcuni libri particolari, di nicchia, seppur pregevoli, rischiano di soffrire. Identificare un preciso gruppo, un cluster di lettori cui indirizzare questo o quel libro è difficile e non so quanto utile. Il famigerato marketing va molto al di là di una “profilazione dei lettori” e di un soddisfacimento dei loro presunti bisogni immediati: il marketing è uno strumento, come tanti, per consentire a ogni libro di trovare il suo spazio nelle librerie e nella Rete sempre più affollate. Ma pubblicare libri resta sempre una scommessa: entusiasmante, rischiosa, foriera di sorprese.


Pensa allora che l’idea provocatoria di Valentino Bompiani di staccare i petali a una margherita per capire se un libro avrà successo come mezzo altrettanto valido rispetto alle ricerche di mercato sia ancora degno di nota?

Mah, in una certa misura è così.


Leggendo la narrativa italiana contemporanea uscita negli ultimi anni, si ha l’impressione che le case editrici, parlo soprattutto di quelle dominanti sul mercato, tendano a proporre un numero crescente di esordienti (o presunti tali), con storie molti simili fra loro. C’è tanto mémoire, accompagnato dal filone apocalittico-fantasy e naturalmente dal giallo, con tutte le sue sfumature territoriali. Ma quando parlo di similitudine non mi riferisco soltanto alla storia, secondaria nella valutazione di un testo, ma allo stile degli autori, che sembra puntare a una limpidezza e semplicità anglosassone, pur non avendo la tagliente capacità di entrare davvero nell’humus dei personaggi. Ti ritrovi con questa percezione?

Capisco ciò che dici e probabilmente in parte è vero. I progetti di imitazione culturale sia consapevoli che inconsapevoli sono sempre presenti. Ma nel nostro caso non direi che si tratti di una ricerca consapevole in quella direzione. Certamente hanno funzionato molto bene alcune cose e quindi perché non riprovare? Attenzione però a innamorarsi di qualcosa che già esiste. Io lavoro molto sulla componente di originalità dei testi. Alcuni tratti come la chiarezza, la limpidezza di un testo sono un possibile strumento per la sua diffusione, ma proprio a gennaio pubblicheremo un esordiente su cui punteremo tanto che non ha i tratti stilistici a cui facevi riferimento. Uniformarsi è quello che più ci verrebbe rimproverato, in casa editrice prima ancora che all’esterno.


(Fine prima parte)

La seconda parte dell’intervista a Giulia Ichino sarà pubblicata su Flanerí venerdì 23 novembre.

Foto di copertina tratta da: 
http://www.corrierenazionale.it

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