Flanerí

Libri

Le Beatrici

di Matteo Chiavarone / 26 aprile

Chi si aspettava un nuovo romanzo di Stefano Benni rimarrà deluso perché “Le Beatrici” è un libro anomalo e non facilmente classificabile.

L’ironia dell’autore di “Bar Sport” ci trascina in una galleria di immagini “al femminile” ricollocate nella “fenomenologia” della musa del Sommo Poeta.

Ma di Beatrice, se non nel primo dei testi (colloqui, monologhi “per voce femminile”, poesie, canzoni) c’è poco o niente. Ed è proprio in questa simbologia al contrario che intravediamo il senso dell’opera.

Quello che abbiamo tra le mani è un volume che forse può e deve essere letto con negli occhi gli spettacoli-laboratorio tenuti recentemente al teatro dell’Archinvolto di Genova.

In una lettura semplice infatti non troviamo gli standard a cui ci ha abituati Benni: sorridiamo, a volte ridiamo, altre ci “stordiamo” ma difficilmente ci “emozioniamo”.

C’è bisogno di vederle queste Beatrici per capirne l’arguzia, osservarne la superficie, per coglierne la sensibilità. Otto racconti che sono otto finestre sull’universo femminile e una certa contemporaneità soprattutto metropolitana; una contemporaneità sguaiata, carica di vizi ma “viva” anche nell’apparente immobilità.

C’è una carica amorosa, spasmi di sentimenti che scivolano nell’eternizzazione del vivere quotidiano; sproloqui pronti a colpire bersagli appena accennati, sogni non realizzati, capacità di conoscere il presente anche nell’ignoranza.

Se i racconti (monologhi o dialoghi poco importa) sembrano nati per l’oralità, per l’ascolto, ancor di più questa “natura” la possiamo riscontrare nelle varie poesie e nelle canzoni (una, forse la più bella, scritta più di dieci anni fa per Fabrizio De André, prima che ci lasciasse prima del tempo) che completano il volume e lo arricchiscono di una liricità a volte geniale.

Dall’ironia struggente di Canzone dell’amore rifatto alla criptica Tango del vestito rosso Benni dimostra la sua versatilità, la sua capacità di mischiare generi, “prendere in giro” e “graffiare” in uno spartito di voci che richiede un ascolto che, in lettura, non può che essere immaginato.