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Libri

Assenze asiatiche

di Elisa Cianca / 21 settembre

Wolfgang Büscher è l’autore di un libro dal titolo enigmatico Assenze asiatiche, pubblicato presso Voland nel 2011. Si tratta di sei racconti-reportage che hanno un denominatore comune: il viaggio. Sei paesi straordinari rispecchiano altrettante facce di un continente – quello asiatico – contraddittorio e in divenire, il cui cambiamento si percepisce costantemente, in un presente di contrasti stridenti tra una storia di tradizioni millenarie e una modernità sterile che mina le radici del passato.
Il narratore è un viaggiatore, ora giornalista in cerca di scoop, ora pellegrino in un’atmosfera che trasuda religiosità a ogni angolo: «L’aria era satura d’incenso e devozione… una boccata d’aria indiana conteneva più religione che le quattro settimane tedesche dell’Avvento messe insieme».  
Prima meta d’arrivo è l’India, terra presente e solida, esplorata, vissuta, sperimentata nei suoi odori e sapori forti ed esotici, fino a Shangri-La, luogo immaginario fonte di ispirazione per letteratura e cinema (chi non ricorda il celebre film di Frank Capra Orizzonte perduto del 1937?). L’incipitinsolito sembra voler concludere o meglio  dischiudere improvvisamente una miriade di mondi: «Infine più niente». E poi quella conclusione: «Non ero mai stato a Shangri-La e ora ne ero già fuori. È già qualcosa».Si passa dal “niente” dell’incipit al “qualcosa” dell’ultima pagina come un cerchio che si chiude. Nel frattempo si sono percorse spazialità sconfinate, incontrando innumerevoli personaggi bizzarri e affascinanti.
Il viaggio è innanzitutto un incontro con ciò che è lontano nello spazio e nel tempo. Un tale esotismo si esprime attraverso il proliferare di animali variopinti e stravaganti che fanno capolino a ogni pagina: «I coccodrilli li avevo osservati un pomeriggio intero in una fattoria…no non si trattava di semplici coccodrilli, bensì di un intero paesaggio fatto di rettili coriacei e verdastri. Centinaia. Forse migliaia, immobili in vasche di cemento. Ancora più che animalesco, l’insieme aveva un aspetto geologico».
Pappagalli, scimmie, roditori, vacche sacre, cammelli, insetti, gechi spuntano improvvisamente come nelle giungle di Henri Rousseau “il Doganiere”, dove nell’intrico di fronde di una foresta tropicale si intravedono ali, becchi, artigli, zampe e occhi che spiano dalla tela mentrenoi osserviamo attenti il dipinto: «Per qualche secondo non volò una mosca, poi tra i rami dei fichi bengalesi scoppiò la rivolta dei pappagalli contro gli invasori…che alberi giganteschi erano i fichi bengalesi, con le loro radici aeree grosse come proboscidi. Dai rami si dondolavano piccole scimmiette gialle».
Il lettore compie un viaggio nel passato ed è sollecitato a riprendere  ritmi ancestrali quando l’uomo era inserito in un contesto naturale e seguiva il ciclo delle stagioni e le leggi di Madre Natura: «Eserciti di cicale frinivano, producendo una vibrazione sempre più prolungata, sempre più chiara che sembrava affiorare dalle profondità della terra. Se ci fermavamo, si sovrapponeva e si sintonizzava con il battito del nostro polso».
La dimensione temporale dimentica i propri reali contorni; emblematica l’assenza dello strumento che scandisce minuti e secondi con le lancette: «Ma il mio orologio dov’era? Non al mio polso e nemmeno a portata di mano».
Mentre lo scorrere del tempo perde sensibilmente la propria presa sul lettore paradossalmente si dilata il momento presente, l’istante: «Era un’ora tagliata fuori dal tempo…quell’ora sublime che, simile a una piramide, sovrastava tutto quello che era stato e sarebbe potuto ancora accadere laggiù».
Il narratore non sempre riesce a mettere da parte la propria identità di “uomo bianco”, sentendosi straniero ed estraneo al tempo stesso. Il punto di partenza è l’Europa che permane come termine di paragone anche nell’incontro più sconvolgente con lo sciamano in trance: «In Europa si sarebbe detta una fiaba, fantasie di un bambino febbricitante».
In quanto europeo,  ha inciso nel proprio dna il computo del tempo, infatti verrà redarguito dal suo compagno di viaggio a tal proposito: «Non può proprio farne a meno, vero? Deve per forza incasellare tutto quello che vede in un sistema già noto»e persino nelle ultime pagine del racconto il protagonista si chiede: «Quanto mancava ancora per Tokio?». Sembra inevitabilmente incapace di pensarsi al di fuori della dimensione temporale.
In tre momenti distinti il viaggio si rivela l’occasione privilegiata per narrare, raccontare, dare libero sfogo alla penna. All’inizio compare un narratore bambino, giovane lettore in erba che legge per ingannare il tempo. Una ninna nanna incantata lo culla fin dalle prime pagine quando ricorda le giornate di febbre trascorse a letto: «Dormi uomo bianco dormi. Il tuo sonno lo proteggono le scimmie». Lo ritroviamo adultoalla scrivania nei panni di uno scrittore affermato: «Mentre butto giù queste righe… scrivo l’ultima frase».Infine arriva la confessione vera e propria: «Se stavo risalendo quel fiume era per via di una parola, di un nome». La letteratura è il vero fil rouge che conduce lontano il protagonista, la motivazione profonda che lo spinge a camminare senza sosta per sentirsi vivo.