Flanerí

Libri

“L’invenzione della madre”
di Marco Peano

Ritratto minuzioso di un dolore privato scomposto in micro-narrazioni

di Anna Quatraro / 20 marzo

Spostare le Montagne Rocciose, ecco la sfida che la buona letteratura dovrebbe raccogliere. Questa riflessione tanto efficace e poetica venne a David Foster Wallace, quando, prima di cominciare a insegnare, assistente in un ospizio, corresse, d’istinto, i vaghi ricordi geografici di un anziano. Poi, rivalutò quell’errore convincendosi che una percezione trasfigurata e più intima della realtà, in grado di forzare il legame univoco con i referenti, sia il principio intrinseco che muove la scrittura destinata a restare.

Questa consapevolezza alberga in modo diffuso nelle pagine dell’atteso esordio narrativo di Marco Peano, L’invenzione della madre (minimum fax, 2015). Più che romanzo tout court, il libro si presenta come una raccolta di micro-narrazioni concentriche che sottraggono mesi, giorni, istanti alla vita della madre morente. Attorno all’estinzione del suo corpo, si consuma una processione immaginifica di ombre e ricordi, contrappunti ritmici che si dispongono in una sconsolata invenzione/ricerca della donna.

Il titolo, modulato sul genere del saggio, rimanda proprio al desiderio di trovare una forma di resistenza all’atto di morire, re-inventando la madre, davanti all’imperativo di rifondare il mondo imposto dal dolore. Malata di tumore a cinquantaquattro anni, la donna, di cui riusciamo a intuire il nome solo per vie traverse, parrebbe un fortissimo alter-ego della madre dell’autore. Ma accanto alla dichiarata volontà di attingere dall’esperienza biografica del lutto della madre, in circostanze simili, le intenzioni narrative di Peano si orientano verso la terza persona di un giovane inetto sveviano, incapace di far fronte all’età adulta, che per statuto prevederebbe l’assestamento della propria identità in forme più stabili. Impariamo a conoscere la bolla di abitudini e rituali che lo protegge, la velleitaria ambizione di dirigere lungometraggi, l’alibi di un lavoro in una videoteca di provincia per non continuare gli studi, e un rapporto sentimentale confinato alla fase adolescenziale. A ventisei anni, Mattia è un individuo in stand-by, e rintraccia nella malattia della madre la possibilità di riflettere su una cesura temporale e psicologica che lo segnerà in modo indelebile.

Mattia dialoga con lo spettro della madre usando riferimenti filmici di larga diffusione per rianimarla. Sa bene che quelle rappresentazioni sono per natura parziali, eppure custodiscono bene le ultime manifestazioni fisiche della madre (respiri, sfizi, capelli), sprigionando turbamento e meraviglia: Mattia è, in certi momenti, un insetto coprofago, altre volte si attiene a una distanza rispettosa, ma sdegnata verso il sopruso della morte. Non c’è consolazione che restituisca alcunché e il grado di ferocia descrittiva raggiunge il suo apice nel terzo e ultimo capitolo, quando lo sfacelo del cadavere appare aspro e grottesco. Lungi dal realismo fine a se stesso, quest’immagine innesca in Mattia una serie di riflessioni sui risultati tangibili della malattia, nella sua portata linguistica e ontologica: l’ordine del mondo va riformulato, perché è il primo giorno del mondo, e quella della madre è la prima morte del mondo. Non ci si potrà interrogare sull’eventuale triade hegeliana di Madre, Mondo, Mattia, senza prima apprezzare l’oscillazione agile fra distanza e messa a fuoco e il minimalismo cromatico di Peano, a cui va il merito di una prosa che, prima di rifonderli stravolti, scinde gli elementi della realtà, e restituisce alla morte la sua orrenda verità, integra.

(Marco Peano, L’invenzione della madre, minimum fax, 2015, pp. 280, euro 14)

LA CRITICA - VOTO 8,5/10

Al suo esordio, Marco Peano svolge il gerundio morire di una madre, dalla spirale impazzita del suo DNA alla liturgia laica e insaziabile del figlio che cerca di rifondare il proprio mondo attraverso e dopo il lutto. Una furia lucida e atea si sedimenta in parole attente, tanto misurate da rischiare, talvolta, l’impersonalità. La lettura non delude, per la forza consapevole con la quale sono violate e ripensate le comuni barriere fra la vita e la morte.