Flanerí

Cinema

“Inside Out”
di Pete Docter

Un film in grado di dare forma e colori al mondo interiore

di Francesco Vannutelli / 16 giugno

Riley ha undici anni e una vita perfetta. Ha una migliore amica, due genitori esemplari, una squadra di hockey di cui è la punta di diamante, e tutto quello che potrebbe desiderare. Qualcosa cambia quando è costretta a trasferirsi, con tutta la famiglia, dal Minnesota a San Francisco per il nuovo lavoro del padre. Nella nuova città è difficile far ripartire la vita come prima, anche perché il papà è sempre più impegnato con il lavoro, i mobili e tutte le loro cose sono andate perdute nel trasloco e il nuovo appartamento appare sempre più triste e vuoto, a scuola è difficile riuscire a inserirsi e intanto in quella che un tempo era casa sua sembrano averla già dimenticata, con una nuova giocatrice pronta a prendere il suo posto nella squadra e al fianco della sua migliore amica. L’unico modo che esiste per essere di nuovo felici secondo Riley è tornare in Minnesota, con o senza i suoi genitori.

Cosa c’è di straordinario in Inside Out, ultimo film targato Pixar passato fuori concorso a Cannes e presentato in questi giorni a Taormina (nelle sale arriverà il 16 settembre)? Cosa rende una normale storia di passaggio dall’infanzia all’adolescenza un saggio visivo sull’importanza dei ricordi e delle emozioni nella costruzione della vita? Un’intuizione brillante. Quella che hanno avuto Pete Docter e il suo co-autore Ronaldo Del Carmen: rendere le vere protagoniste del film le emozioni stesse.

Al momento della nascita di Riley nascono con lei Gioia e Tristezza, che vivono nella sua testa e determinano le sue risposte agli stimoli del mondo attraverso un grande pulsante: lo preme Gioia, scatta il riso, lo preme Tristezza, parte il pianto. Mano a mano che la bambina cresce arrivano le altre emozioni a regolare l’intera gamma delle reazioni. Ci sono Rabbia, Paura e Disgusto, e c’è un pannello di comando sempre più grande per guidare Riley. Mentre la bambina cresce, ogni momento diventa una sfera colorata di memoria, un ricordo da archiviare nella libreria della memoria a lungo termine. I ricordi più importanti vanno a formare le isole della personalità, le fondamenta del carattere di Riley: la famiglia, l’amicizia, l’hockey, la follia, l’onestà. Gioia controlla che tra le emozioni si mantenga sempre l’equilibrio per far crescere serenamente la bambina. Soprattutto deve controllare Tristezza, che sempre più spesso finisce per macchiare con il suo blu i ricordi più felici provando ad aiutare. Tutto l’ordine interiore di Riley si sconvolge quando Gioia e Tristezza vengono risucchiate lontano dal pannello di controllo e rimangono a governarla solo Rabbia, Disgusto e Paura.

È questa, la forza assoluta di Inside Out. Pete Docter e il team Pixar sono riusciti a sintetizzare tutte le difficoltà della vita umana, della crescita e delle reazioni emotive, della psicologia e dei comportamenti, in un capolavoro di leggerezza e profondità, di tenerezza e sofferenza.

L’animazione non è mai stata solo per bambini, ha sempre veicolato dei messaggi ulteriori nei sottotesti e nei simboli. La Pixar ha portato il cinema d’animazione a un livello ulteriore sin dal 1995 di Toy Story, fondendo la perfezione tecnica della computer grafica alla complessità drammatica delle trame. Inside Out lo conferma: è un film che dovrebbero vedere tutti i figli del mondo e ancora di più tutti i genitori, che semplifica tutto ciò che di complicato esiste nella comprensione dell’altro negli schemi elementari delle emozioni, che concretizza l’astratto in immagini. Tutto quello che si vede è splendido, poetico e simbolico. Il mondo interiore, organizzato in compartimenti e settori, spiega più del funzionamento della psiche umana di qualsiasi trattazione scientifica. Docter riesce a veicolare un messaggio complicato e fastidioso, come l’importanza della tristezza nella costruzione della felicità, riuscendo ad alternare il riso e il pianto, coprendo l’intera gamma delle emozioni in un racconto che conserva sempre l’apparenza della semplicità, anche quando inizia a scavare nel subconscio e nel mondo del pensiero astratto, quando i ricordi iniziano a svanire e la potenza dell’immaginazione sembra non bastare più a tenere in piedi un mondo pronto a crollare, isola dopo isola.

C’è una corrispondenza tra il viaggio di Gioia e Tristezza e la crescita di Riley, tra il lavoro sbagliato di Disgusto, Rabbia e Paura, che provano solo a limitare i danni dell’assenza di Gioia, e lo smarrimento della bambina. Senza la guida della felicità e anche della disperazione, Riley si perde nella nuova vita e perde i suoi consueti appoggi, finendo per inaridirsi sempre di più, distruggendo le basi del suo stesso essere. Nel frattempo Gioia trascina Tristezza per tornare al quartier generale attraverso quella città e immensa e caotica che è la psiche della bambina, con l’unica guida di Bing Bong, l’amico immaginario della prima infanzia di Riley, un po’ elefante, un po’ gatto, un po’ delfino su una base di zucchero filato rosa, rimasto a vagare nella mente della sua amica e sempre pronto a farle raggiungere la luna, come quando era bambina e sognava di volare su un carretto/razzo alimentato a canzoni, anche a costo di sacrificarsi.

Con Inside Out la Pixar ha raggiungo quello che forse è il punto più alto della sua poetica cinematografica nella capacità di trasformare le continue disavventure quotidiane della vita – gli impedimenti che possono essere una perdita, o una separazione da un amico, o un trasloco – in delle avventure enormi di crescita. Dietro forse ci sono discorsi complicatissimi come la teoria delle anime di Platone e migliaia di pagine di psicanalisi, pedagogia e psicologia comportale, ma non si vedono mai, camuffati alla perfezione nei colori e nelle immagini, per lasciare spazio all’unica cosa che conta realmente: le emozioni.

(Inside Out, di Pete Docter, 2015, animazione, 94’)

 

LA CRITICA - VOTO 10/10

La Pixar ha abituato all’eccellenza con i suoi lavori. Dopo tre film al di sotto degli standard, elevatissimi, dei suoi capolavori, con Inside Out fissa un nuovo punto più alto nella sua storia e in quella del cinema, non solo di animazione.