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Varia

“Battlefield”
di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne

Un capitolo del Mahābhārata, trent'anni dopo

di Federica Imbriani / 12 maggio

Mi sono innamorata di Peter Brook all’improvviso, trafitta dalla semplicità del suo Il Grande Inquisitore, e negli anni sono stata ipnotizzata da Fragments, divertita dalla sua interpretazione di Il flauto magico, commossa da Love is My Sin e definitivamente conquistata quando, alla fine di Battlefield, ieri sera, il maestro è salito sul palcoscenico per ricevere dalle mani del commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, e del direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, la Lupa Capitolina in segno di gratitudine per il prestigio internazionale e l’opera svolta.

Peter Brook è un novantunenne dall’espressione simpatica che parla d’amore per il suo pubblico alla fine di uno spettacolo che denuncia l’inumanità della nostra epoca. Battlefield, infatti, è una riflessione sofferente sulla guerra, interpretata come carneficina fratricida. Tornando al Mahābhārata, uno dei testi fondamentali della religione induista, il più ampio poema epico non solo dell’India, ma della letteratura mondiale, Brook prova a far rivivere la guerra di sterminio che si consuma tra le due fazioni della stessa famiglia dei Bharata, per una storia universale che ci invita a interrogarci sul rimorso del vincitore e ad affrontare la responsabilità del potere.

Battlefield è un estratto dell’originale opera che nel 1985 sconvolse per nove ore il Festival di Avignone. Dopo trentun’anni l’opera si lascia alle spalle ogni sovrastruttura e si incarna in soli quattro attori che, accompagnati dalle percussioni emozionanti di Toshi Tsuchitori, e qualche drappo colorato, tratteggiano in maniera essenziale uno scenario atemporale, mitico e universale in cui «Nessun uomo buono è interamente buono… nessun uomo cattivo è interamente cattivo».

Lo stesso Brook afferma che «la terribile descrizione della guerra che si consuma nella famiglia dei Bharata, con “dieci milioni di morti”, può far pensare a Hiroshima o alla Siria oggi». E prosegue: «Nel Mahābhārata alla fine i leader hanno la forza di porsi queste domande. Per questo la reale platea a cui ci rivolgiamo è composta da Obama, Hollande, Putin e da tutti i presidenti. Quando guardiamo i notiziari, siamo arrabbiati, disgustati, furiosi. Ma nel teatro ognuno può vivere attraverso tutto questo e uscire più sicuro, coraggioso e fiducioso nel poter affrontare la vita».

 

Battlefield

 

tratto da Il Mahabharata e dall’opera teatrale di Jean-Claude Carrière
adattamento e regia Peter Brook e Marie-Hélène Estienne

con Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba, and Sean O’Callaghan
musicista Toshi Tsuchitori

Prossime date
Roma – Teatro Argentina dall’11 al 15 maggio
Perugia – Teatro Solomeo 19 e 20 maggio
Firenze – Teatro della Pergola 24 e 25 maggio
Modena – Tratro Storchi 29 e 30 maggio

LA CRITICA - VOTO 9/10

Coerente con le linee teoriche e stilistiche delle precedenti regie del maestro, Battlefield è una riflessione pacata, essenziale e luminosa, sulla tragedia inane dell’autodistruzione dell’umanità.