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Libri

Uscire dal muro di libri

L’approccio di Patrizio Marini alla grafica editoriale

di Ulderico Iorillo / 25 ottobre

La storia della casa editrice minimum fax è una di quelle da film motivazionale. Inizia con due ragazzi che aprono un’attività nel loro scantinato partendo da un’idea e riescono, infine, a creare un’impresa di successo. Nata come una rivista inviata via fax da Daniele di Gennaro e Marco Cassini – parliamo del 1993 – minimum fax diventa in breve tempo nota nel mondo intellettuale e si trasforma in una casa editrice indipendente di successo. C’è poi un aneddoto legato alla sua genesi, e riguarda il logo. Il famoso pennino di minimum fax viene, infatti, disegnato gratuitamente da un amico grafico: Patrizio Marini.

Oggi Marini è un art director affermato e lavora soprattutto nell’ambito della comunicazione, cura la direzione creativa di campagne pubblicitarie e l’immagine di brand famosi. A distanza di 23 anni è tornato a lavorare per minimum fax per cui ha curato la nuova veste grafica presentata durante l’ultimo Salone del libro di Torino. Lo ha intervistato Ulderico Iorillo.

 

Vado a trovare Patrizio Marini dove lavora, in uno studio con tanti open space, pieno di divani spaiati e lunghi tavoli di legno chiaro con sopra grandi iMac in fila. Mentre prendiamo un caffè in una sala con il ping pong, mi descrive le varie aree dello studio e cosa fanno le persone che lo abitano, poi ci sediamo e inizia a raccontarmi di come tutto è iniziato, senza che io gli chieda niente.

Sono entrato nel mondo dell’editoria in modo anomalo. Sai, spesso questo tipo di collaborazioni nascono per amicizia, anche perché l’editoria non può permettersi grandi investimenti, grandi progetti, spesso è quasi un’affiliazione, così se hai qualcosa da dare lo dai. Io c’ero quando Cassini e di Gennaro erano due amici che lavoravano con un’idea forte: usare un canale comunicativo in modo innovativo. Oggi fa ridere parlare di fax, ma allora c’erano questi ragazzi e io ero uno di loro, avevo la loro età. Facevo grafica, disegnavo e ci siamo dovuti ingegnare per fare delle illustrazioni che fossero leggibili su fax. Io cominciai a lavorare sulle prime collane e disegnai il pennino. Così è cominciata.

 

La casa editrice è stata sottoposta non solo a un restyling visivo ma anche a un cambiamento della linea editoriale. Cosa pensi di questa rinnovata minimum fax? 

 

 

La nuova minimum fax mi sembra funzioni. Lavorano tutti nella stessa direzione e, da parte mia, credo che il contenitore a sua volta stia influenzando il contenuto. L’esigenza di rifare i vestiti alla casa editrice è quella di dare un segnale alla propria comunità. minimum fax non è più così giovane e deve attualizzare il messaggio senza perdere il proprio mondo, ripescando alcuni elementi dal suo DNA. C’era il rischio che diventasse una casa editrice che guardava troppo al passato, invece di cercare quelle persone che non conoscono il catalogo e che magari si accostano ai libri per la prima volta. Credo, insomma, che anche il fatto di essere meglio definita visivamente aiuterà a pescare tra i nuovi lettori.

 

Come hai vissuto questo ritorno all’editoria? È stato naturale o macchinoso? Mi riferisco soprattutto all’approccio con l’oggetto libro e alla progettualità di un nuovo sistema visivo. Questi anni nella grafica pubblicitaria ti sono sati utili o d’intralcio?

In tutti questi anni mi sono occupato di editoria in modo differente. Collaboro con il Soon Institute di Amsterdam e abbiamo anche una casa editrice che produce pochissimi libri, realizzati in un numero di copie limitato e costruiti con grande attenzione (The Mushroom Collector, Back and Forth and In and AroundHotel Oracle sono alcuni dei libri editi). Io approccio l’editoria in questo modo. Certo, ho soprattutto lavorato per grandi marchi com Nike o Alitalia, e calarmi in una situazione più piccola è stato più difficile perché ho sentito di avere maggiore responsabilità. Intendo la responsabilità di far emergere uno specifico libro da quel muro di libri che sono diventate le librerie. Il libro è fragile, bisogna occuparsene con grande attenzione. Per rendere più chiaro il messaggio e quindi più visibile il libro, bisognava fare prima chiarezza all’interno della casa editrice, che sembrava essa stessa una libreria. Il gran numero di collane e la difficile distinzione tra una tipologia di libro e un altro metteva in difficoltà il lettore. Le nuove personalità acquisite hanno lavorato a un dimagrimento delle collane ed è stata riscritta la grammatica visuale della casa editrice.

 

Ho letto che hai ridisegnato anche il pennino perché l’angolo di scrittura era errato. Provo sempre un forte senso di responsabilità nel pensare qualcosa che rappresenti un’idea in un solo segno. Dal monogramma costantiniano alla CocaCola, i marchi hanno rappresentato un concetto che può durare secoli, ma sono comunque l’espressione del tempo in cui vengono concepiti. Avresti fatto lo stesso logo se te lo avessero commissionato oggi? 

 

 

Non ho mai riflettuto su questa cosa. Forse, no. Sono cambiato io e sono cambiati i modi di creare un marchio. Oggi le marche non sono statiche ma generative, nascono da una matrice che poi viene riproposta in modi differenti. Ma devo dire che una percentuale della moltiplicazione della matrice l’abbiamo inserita in questo re-branding, creando una linea diagonale che riproduce la diagonalità del logo e in qualche modo vuole rappresentare anche la trasversalità, non solo della casa editrice, ma anche delle persone che ci sono dietro. Un marchio se non rappresenta le persone e la loro filosofia non conta niente. E ci sono ancora persone che ragionano in modo trasversale in minimum fax e Daniele [di Gennaro n.d.r.] è uno di questi.

 

Sei stato affiancato in questo lavoro da Agnese Pagliarini, una giovane graphic designer che ha frequentato lo IED. Quanto ti è stato utile il suo contributo?

 

 

È stata un pezzo fondamentale del progetto. Un progetto così non si può gestirlo da soli, sia per questioni di tempo, sia perché va affrontato da due punti di vista: uno più solido e nostalgico, il mio, e l’altro più nuovo, fresco, quello di Agnese. Parlando proprio delle soluzioni grafiche, solo lei poteva accostare alcune cose a cui non avrei pensato. Le mie prime idee erano molto quadrate, gestaltiche, lapidarie, si trattava di prototipi naturalmente, ma alcune idee di Agnese hanno aiutato ad ammorbidire il tutto e anche nella costruzione delle gabbie è stata molto precisa.

 

Ho sentito in una tua intervista che per una questione di uniformità e di tempi avete deciso che le illustrazioni delle copertine per le collane di narrativa sarebbero state realizzate da te in questa prima fase. Avete pensato sin da subito di occuparvene internamente?

A un certo punto la casa editrice ha detto: «Bene, partiamo!» Allora siamo andati di corsa per arrivare a Torino con i primi titoli. Avrei voluto fare un po’ di scouting, sia per non usare i soliti (bravissimi, ma a volte inavvicinabili) illustratori, sia per dare un taglio nuovo. In questi anni non ho mai abbandonato l’illustrazione, anzi mi trovo spesso a misurarmici. Ho fatto le prime due cover di prova per la parte fiction, sono piaciute e allora abbiamo deciso di continuare. Ho preso subito gusto a farlo. Per quest’anno andremo avanti così, un po’ perché è una macchina rodata e poi perché per me è un bel momento quello che dedico all’illustrazione. Inoltre c’è un buon dialogo con la casa editrice nel momento in cui si sviluppa l’idea della copertina, c’è tanta sensibilità e cura per il lavoro, sia da parte della casa editrice, sia da parte mia.

 

Pensi che in futuro utilizzerete altri illustratori? Chi ti piacerebbe?

Sento già l’esigenza di fare un cambio, di far andare le copertine con le proprie gambe. Mi piacerebbe trovare giovani e dare visibilità a personalità nuove, creare così una piccola factory dove allevare e lanciare nuovi talenti. È una cosa a cui minimum fax si è sempre dedicata dal punto di vista della scrittura, ma vorremmo farlo anche per la parte visuale. Si può dire che questa idea di creare un vivaio di illustratori faccia parte del progetto stesso.

 

Hai detto che collabori con il Soon Institute, che si occupa di fare ricerca e creare prototipi di comunicazione. Pensi che l’editoria abbia bisogno di essere innovata, di cambiare nei processi produttivi o nella comunicazione?

Al Soon affrontiamo l’editoria lavorando molto sui materiali, e sulla cura dell’oggetto libro e questo credo sia indispensabile. Parallelamente, però, c’è sicuramente molto fare nella comunicazione. In altri campi si usano oggetti all’avanguardia, sistemi per creare modelli innovativi; invece la comunicazione intorno al libro è statica. Calvino parla dell’avvicinamento al libro come dei preliminari amorosi che preludono all’atto della lettura. Questo tipo di approccio sicuramente non morirà mai, ma bisogna trovare le chiavi che la tecnologia offre per consentire alle persone di individuare il libro, prima di avvicinarlo. In questo periodo ho partecipato a tutte le grandi fiere e mi sono reso conto quanto quello che ruota intorno al libro è ritualizzato, come nelle grandi messe, tutto nello stesso modo e guai a cambiarlo. C’è tanto spazio, invece, anche con poche risorse, per arrivare a nuovi canali di comunicazione e provare ad aumentare il popolo dei lettori Ti racconto un’altra cosa riguardo l’oggetto libro e l’innovazione. Io adoro i dati numerici, penso che il lavoro del futuro per un visual designer sarà raccogliere e visualizzare i dati, mentre per uno che fa comunicazione sarà sistemarli e riuscire a creare un messaggio. Tra le varie proposte che ho portato a minimum fax nelle fasi iniziali, ce n’era una per cui abbiamo studiato un algoritmo che generava la copertina automaticamente in base alla quantità di determinate parole presenti all’interno del libro. Quando l’ho proposta c’è stata una doppia reazione: da una parte entusiasta e dall’altra allarmata. minimum fax è così, si muove tra due anime, una molto innovativa e l’altra più classica. In questo Daniele di Gennaro è dalla mia. È sempre molto dinamico nelle idee, sempre immerso in mille progetti. In questo caso volevo inserire un elemento di modernità rispettando il libro. C’è spazio anche nei freddi numeri per la bellezza e l’innovazione, e c’è tanto spazio per un differente approccio al libro.

 

Ti propongo una domanda che mi piace fare ai designer. Trovi che i precedenti progetti avessero concluso il loro corso, esaurito la loro funzione? Quando si può dire che un progetto grafico non risponde più alle esigenze per cui è nato?

Cerco di darti una risposta da tecnico a proposito del tempo. Oggi il tempo a disposizione della parte creativa è sempre minore e gli oggetti sono fatti per durare meno per via delle regole del mercato. Stessa cosa vale per la grafica e la comunicazione. Chi progetta deve pensare a un seme, secondo un concetto generativo, lo stesso di cui abbiamo parlato per il marchio. Solo così un’idea può durare il più possibile. All’interno del seme si può programmare una continua evoluzione, mantenendo il cuore. Per me la progettazione è una cosa in movimento che sta in piedi solo se c’è una progettualità forte, solida, che deve rappresentare il DNA dell’azienda o di un pensiero. Quando lavoriamo per la comunicazione e troviamo il posizionamento, esso deve essere il più durevole possibile e, all’interno di quella sezione di tempo, è l’azienda o il progetto che deve sapersi muovere per non dover cambiare ogni minuto.

 

Patrizio Marini ha parlato per tutto il tempo con un tono pacato che nasconde il grande entusiasmo che ha per le cose che fa e per quelle che gli piacerebbe realizzare. Mentre mi riaccompagna alla porta sono attratto da un piccolo disegno di un pesce rosso che ha una falce e martello sul muso. «Bello», dico e Patrizio mi risponde: «Sì, l’ha fatto Terry Gilliam, è un pazzo, pensa che ha lavorato con noi. Solo uno come lui poteva accettare». Mi rimane la voglia di chiedere altro sul pesciolino, ma me la porto via.