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"Notti Brave", l'album di Carl Brave

di Luigi Ippoliti / 23 maggio

Il crepuscolarismo post facebook di Polaroid, lo scorso anno, ha reso Carl Brave x Franco 126 uno dei fenomeni musicali del 2017: un fenomeno socio culturale iniziato agli albori degli anni ’10 che passa da I Cani, solca tutta l’epoca Social Network, va a mischiarsi con la trasformazione dell’hip hop/rap in una questione popolare e si contamina con il disimpegno alla Calcutta. Oggi, Carl Brave si stacca dal suo compare e si mette in proprio, o quasi, e scrive Notti Brave.

La polaroid. L’immagine della polaroid, i suoi rimandi, l’idea che è e che promulga in un’ epoca non-polaroid, la forte presenza – forzata o meno – della sua assenza. L’uso del pretesto letterario della polaroid come foraggiatrice dell’effetto nostalgia, nonostante chi abbia scritto Polaroid non abbia vissuto l’epoca polaroid se non – magari – di striscio, è stato il veicolo esemplare per capire come oggi possano smuoversi le masse ed è stata in qualche modo la chiusura di un cerchio – e forse l’apertura di un altro. Nel 2011, un un’epoca in cui il significato dei vari social network stava andando ancora formandosi, dove ancora non si sapeva quale apporto avrebbe dato alla diffusione e alla fruizione della musica, I Cani usavano una sequenza di polaroid nel loro video “Hipsteria“. Il mondo fatto di micro istanti di vita pieno di sguardi assorti nei bicchieri di Negroni, dove si cerca un passato, un presente e un futuro di una generazione che continua a vivere in un limbo esistenziale, ideologico e sociale, è andato, come detto prima, a scontrarsi con quello dell’hip hop/rap/trap che negli anni riusciva a farsi largo su scala più ampia.

Una generazione (più di una generazione, oramai), in cui la vaghezza e l’instabilità la fa da padrone, ha ritrovato, attraverso la condivisione reale sui social network, nella nostalgia – nella sua riproposizione totemica (uno dei tantissimi esempi, la Goleador in “Professorè”) -, la propria chiave di volta.

Notti Brave si muove in questa direzione: tra la frustrazione verso il proprio presente, il futuro che è una nebulosa ma che di fatto sembra un grande scherzo, l’incapacità cronica nel sapersi relazionare con l’altro (che sia un contesto di amicizia, di amore o lavorativo), e la mitizzazione di ciò che è stato attraverso situazioni comuni, modi di fare, oggettistica.
Emblematica, in questo, la già citata “Professorè”. «Ti facevo uno squilletto per dirti “Ti penso” / Ma è durato un mesetto il nostro amore immenso / M’hai lasciato co’ ‘n biglietto / Ho fatto canestro nel secchio», oppure «Ogni battuta era “Tu madre”, “Tu sorella” / Pregavo la bidella: “Suona ‘sta campanella” / E mentre il prof parlava dell’Ampere / Io stavo a casa col PC a chatta’ su Messenger, Messenger».
Per finire al ritornello, che suona come un vero urlo di disperazione, il riassunto di un manifesto vissuto sulla propria pelle o su quella degli altri, l’inadeguatezza – con o senza colpe – nel riuscire a farsi comprendere: «Aeh professorè / Vorrei vederti a te / Mi so’ fatto il culo, ehh / E poi m’hai messo tre».
Un inno nei confronti del periodo scolastico, in cui l’iniziale «Non voglio andare a scuola», suona più come “Ti prego, voglio tornare a scuola”.

Anche il singolo, “Fotografia” – dove la polaroid diventa, appunto, una fotografia – che vede come ospiti Fabbri Fibra e Francesca Michelin, prosegue sull’adagio della nostalgia «Un mio amico che si apre / Giuro che sarò una tomba / La chiamo un’altra volta e un’altra volta: “TIM informa” / Su una rotonda Alberto Tomba / Sora tua / Dalla prua di un Toyota / Belli andanti fai manovra».
Un pezzo da hit estiva che fa perno su situazioni apparentemente insulse di angoli remoti di ciò che è stato vissuto e che, a sua volta, non vive di quell’eccessivo pressappochismo, di quella banalizzazione della vita e delle categorie, di cui si nutrono J-Ax e Fedez.

Notti Brave continua per tutto l’album su questa scia fatta di ricordi e inconcludenza («Quante volte / Ho scritto un messaggio / Da ubriaco e poi cancellato», in “Scusa”), dove prestano la voce prima Giorgio Poi (che scrive il miglior ritornello in “Camel Blu”), Coez in “Parco Gondar” (dove ci sono gli unici rimandi alla trap), Gemitaiz in “Malibu”, Frah Quintale in “Chapeau, Pretty Solero & in “E10”, Emis Killa in “Bretelle”, Franco 126 e Federica Abbate in “La Cruenta”, Ugo Borghetti & B in “Scusa”.

L’album, dove i beat morbidi fanno da terreno fertile per le rime di del cantautore romano – degli haiku scritti sul Raccordo Anulare – è arricchito da arrangiamenti di fiati, ben presenti (come in “Malibu”, paradossalmente uno dei pezzi meno riusciti, ma che grazie a loro riesce a destare un minimo interesse), alla Bon Iver di Bon Iver, Bon Iver e che sono il comune divisore estetico di Notte Brave: sembrano aspetti antitetici, ma Carl Brave è riuscito a dargli una dignità senza scadere nell’eccesso macchiettistico.

Nonostante un netto sbilanciamento in termini qualitativi tra le prime quattro canzoni e le restanti, Notti Brave è un album profondo nella sua superficialità, uno schermo per comprendere quello che accade in gran parte della musica moderna: una lente d’ingrandimento tra noi e il nostro rapporto con la nostalgia.

 

LA CRITICA - VOTO 6,5/10

Carl Brave disegna un mosaico di situazioni che rimandano immediatamente all’effetto nostalgia trasformato dai social network: Notti Brave riesce nel suo intento, anche se con diverse soluzioni meno brillanti di altre.