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Libri

L’ultimo sasso di Balestrini

“La nuova violenza illustrata” di Nanni Balestrini

di Alessandro Mantovani / 7 gennaio

A causa della loro pervasività e della loro immaterialità, il filosofo Timothy Morton ha definito iperoggetti quei fenomeni della nostra contemporaneità – come l’invasività della rete o il riscaldamento globale – così diffusi nel tempo e nello spazio da trascendere la loro specificità spazio-temporale.

Questi fenomeni, nella loro natura inafferrabile, impongono una ricalibratura ermeneutica e narrativa del reale che passi attraverso l’utilizzo di nuove forme dedicate a tale scopo. In questo frangente si inseriscono i sintomi della rinascita di un’epica, legata alla dimensione storica e sociale. Tra i tanti, l’epica nella contemporaneità può infatti diventare un dispositivo attraverso cui impostare nuove narrazioni del presente e del futuro; uno strumento, un’attitudine che permette di entrare trasversalmente nei fenomeni e palesarne le contraddizioni.

Un esempio eccellente di questa rinnovata disposizione narrativa verso il presente è La nuova violenza illustrata di Nanni Balestrini (Bollati Boringhieri, 2019) uscito quest’anno poco dopo la morte dell’autore stesso. «Romanzo controstorico», ma dalla struttura indiscutibilmente epico-poematica, il libro è una riedizione del testo del 1976 (La violenza illustrata) e ne integra l’architettura in un movimento a ritroso, dal presente al passato.

Il racconto degli anni Settanta, declinato in dieci capitoli, è infatti racchiuso in una sezione intitolata Primo tempo e, in questa nuova versione, viene preceduto da un Secondo tempo, sempre in dieci parti, inerente gli eventi del decennio 2008-2018.

Fatti nuovi e fatti passati si richiamano nel testo di Balestrini in un moto di allontanamento dal presente, attraverso il comune denominatore della violenza, che non ha mai abbandonato la nostra realtà, ma soltanto cambiato forme; così alla furia degli eventi che precedono l’anno del Movimento, si affiancano – questa volta in una dimensione globale – la morte di Gheddafi, le dichiarazioni di Trump, gli Indignados, i migranti della Diciotti.

Lungi però dall’essere un’espressione cronachistica o un rimestare nel già noto, il racconto del presente – così come quello del passato – è per Balestrini prima di tutto un’operazione di lingua. Esso infatti viene condotto nel testo secondo la stessa tecnica usata per la precedente edizione, l’espediente dal sapore modernista del cut-up, ossia la versione scritta del collage: le fonti di informazione (giornali, telegiornali, siti) su un dato argomento vengono selezionate, tagliate, infine mescolate e accostate tra loro con precisa attenzione.

Ciò che diverge rispetto agli anni Settanta in questa nuova sezione contemporanea è però la consapevolezza di una differente presenza dei media nel nostro quotidiano, l’atomizzazione delle informazioni e il loro flusso costante a cui siamo sottoposti. Balestrini recepisce quest’evoluzione – e con essa gli effetti della rivoluzione digitale – e imita le modalità del getto continuo di notizie rendendo manifesta anche la specifica violenza mediatica che soggiace ai racconti del presente.

Sotto accusa da parte dell’autore è la dimensione deteriore e mediata acquisita dalla storia, attraverso le drammatizzazioni dei fatti che ne impediscono una resa oggettiva e favoriscono la creazione di racconti inesistenti (come per la morte di Gheddafi) o attraverso la teatralità dei telegiornali, dei talk-show o degli stessi episodi di cronaca (come per la vicenda Englaro).

Il giudizio di Balestrini riguardo ai fatti e alle modalità con cui sono raccontati non è esplicito, bensì racchiuso nell’assemblaggio delle fonti, che avviene attraverso due modalità principali: la prima è la raccolta e l’accostamento di versioni dello stesso avvenimento provenienti da fonti differenti; l’altra è invece l’affiancamento di due eventi differenti in apparenza lontani tra loro. Se quest’ultimo metodo, attraverso un procedimento quasi analogico (e quindi poetico) permette di illuminare (illustrare) inaspettatamente e vicendevolmente i due termini accostati creando una sorta di spaesamento all’interno delle coordinate storico-temporali, il primo metodo grazie ad un’operazione radicale demolisce la possibilità di costruire un giudizio critico e univoco sui fatti.

Ecco allora, attraverso un espediente o l’altro, che la presunta sensatezza degli accadimenti viene smantellata e che l’assioma per cui “i fatti parlano da soli” non regge più, anzi, il risultato testuale sembra dimostrare come su di essi gravi oggi una nube di indecifrabilità tradotta poi nell’ansia inefficace da parte dei media declinata nei tentativi di una lettura stabile degli eventi attraverso strategie del tutto anti-storiche.

Il racconto dell’epica del presente è ricondotto così ad arte di montaggio (da qui il risultato di essere illustrazione) che attraverso un cozzare di linguaggi frenetici e disarticolati restituisce una dimensione storica in crisi dalle fondamenta. L’edificio linguistico di Balestrini consegna infatti un paesaggio in escrescenza in cui la mostra delle atrocità non concede una comprensione chiara e oggettiva, negando in questo modo anche i fondamenti stessi della Storia; infatti, come sottolinea Cortellessa nella postfazione: «le pratiche dell’interruzione e del montaggio vengono indirizzate da Balestrini a un’aspra ridiscussione della dimensione storica dell’esistenza e della conoscenza storiografica in particolare».

La pretesa di oggettività, la formazione di un giudizio, l’univocità e l’apprendimento degli avvenimenti sono messi in crisi dalla giustapposizione vorticosa delle fonti che attraverso dettagli discordanti e microfratture tra le varie versioni produce quella confusione gnoseologica che, dice l’autore, è comune al nostro tempo.

Ma l’intento di Balestrini sembra andare molto al di là di una resa dello Zeitgeist. Nella sua demistificazione del racconto storico, Nanni Balestrini, attraverso un progetto di controinformazione, vuole smascherare le crepe che stanno dietro alle “versioni ufficiali” dei fatti per muovere il lettore a nuova consapevolezza, perseguendo un fine sociale e pratico della letteratura. Il bersaglio è la storiografia ufficiale/borghese, quella che, ad esempio, ha giudicato – proprio a causa della violenza – le esperienze degli anni Settanta come negative e non come i sussulti di una speranza asfissiata dal luccichio edonistico del decennio successivo.

La versione ufficiale degli eventi non dà conto – sembra dire Balestrini – delle ansie, delle aspirazioni, delle paure e delle lotte che innervano la storia il cui metro dal ’76 a oggi non ha mai smesso di essere la violenza, sopita ma mai terminata, e che pare in questi ultimi tempi voler riconquistare la scena. Le piazze cilene, quelle dell’Iraq o di Hong Kong, danno conto di una convulsione (come l’ha definita recentemente Bifo, altro agitatore culturale del Movimento) del corpo sociale che torna oggi a fare della violenza una propria acquisizione.

Ecco allora che La nuova violenza illustrata si inserisce in questo clima invitando con urgenza a ripensare i fatti passati e quelli presenti, a scuotersi dal torpore e indirizzare per una volta nel verso giusto – e non – la propria rabbia, o canalizzata nella dissipazione demagogica e sovranista a cui assistiamo negli ultimi tempi o resa imbelle dagli ultimi decenni di godimento depressivo di matrice capitalista.

Questo dunque lo scopo, come scrive l’autore stesso nella Lettera al mio ignaro e pacifico lettore: «Ma un’opera autentica (libro, quadro, musica) serve a farti vedere altro, o meglio a cambiare il tuo modo di vedere, di percepire le cose e il mondo, serve a illuminare il tuo sguardo su aspetti della realtà che ti sono sconosciuti, a scuoterti per un istante dal tuo stato abituale di robot sonnambolico. A risvegliarti, anche se per pochi istanti, dandoti la vertigine di qualcosa di ignoto che infrange le norme e le regole nelle quali vivi incastrato e anestetizzato».

Ed è in questa possibilità di ottenere una consapevolezza più profonda del proprio tempo, che sta per Balestrini tutto il valore politico della letteratura: una nuova epica per una nuova storia.