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Cinema

Distruggere l’orrore con la fantasia

Su "Jojo Rabbit" di Taika Waititi

di Francesco Vannutelli / 25 gennaio

Le sei nomination agli Oscar per Jojo Rabbit sono una ventata di freschezza per un cinema che troppo spesso ha timore di confrontarsi in modo originale con la storia. Dopo il successo internazionale di Thor: Ragnarok, il neozelandese Taika Waititi esordisce con il suo primo film statunitense fuori franchise con coraggio e personalità.

Dietro Jojo Rabbit c’è il libro di Christine Leunens Come semi d’autunno (in Italia è stato pubblicato per la prima volta nel 2006 da Meridiano Zero), ma è solo un pretesto. Waititi, anche sceneggiatore, ha adattato il romanzo alla sua idea di cinema alleggerendone il contenuto ma senza perdere il giusto rispetto per l’argomento.

Nella Germania del 1945, il giovanissimo Johannes Betzler ha un amico immaginario, Adolf Hitler, il suo idolo assoluto, che lo consiglia e lo guida nel suo sogno di diventare un soldato al servizio del Reich. Dopo che un incidente al raduno della Gioventù hitleriana lo sfigura, Jojo, come lo chiamano tutti, si rinchiude in casa. Scopre così che sua madre nasconde una ragazzina ebrea e tutte le sue certezze iniziano a traballare.

Elenchiamo brevemente le cose che sembrerebbero assurde se non facessero parte dell’ottimo equilibrio di Jojo Rabbit: i titoli di testa uniscono immagini reali di adunate naziste a “I Wanna Hold Your Hands” cantata dai Beatles in tedesco; l’Hitler immaginario di Jojo si nutre di carne di unicorno; in una scena una decina di personaggi nella stessa stanza dicono «Heil Hitler» più di venti volte; un bambino si ferisce a una gamba lanciando un coltello; un bambino distrugge un negozio facendo cadere un lanciarazzi; un ufficiale delle SS affronta gli alleati conciato come un’icona camp.

Taika Waititi ha creato una favola nera irriverente e poetica, che diverte e commuove. Nella solitudine di Jojo ci sono proiettate le paure di tanti bambini: quella di non essere accettati, di venire abbandonati, di essere esclusi. La passione fanatica per il nazismo non è politica, è una disperata ricerca di appartenenza.

Per scavare in questa fragilità Waititi ha scelto una leggerezza vista poche volte al cinema per parlare di nazismo. Vengono in mente Vogliamo vivere Ernst Lubitsch, o il folle musical Springtime For Hitler all’interno di Per favore, non toccate le vecchiette di Mel Brooks, al massimo, ma messi in scena come se fossimo in un film di Wes Anderson meno patinato.

Per mettersi al riparo da qualsiasi tipo di polemica, il regista si è riservato il ruolo di Hitler. Per lui, maori di madre ebraica, è un modo inequivocabile per sottolineare la distanza da qualsiasi rischio di banalizzare il male. Al suo fianco sorprende l’ottimo esordio di Romain Griffin Davis (classe 2007) nei panni di Jojo , subito nominato ai Golden Globe come protagonista.

A rubare la scena, però, è una Scarlett Johansson perfetta, che conferma dopo Storia di un matrimonio il 2019 come il miglior anno della sua carriera interpretando la madre di Jojo con forza e delicatezza. La scena in cui si traveste dal padre del bambino, scomparso in guerra, ci ricorda tutta la sua bravura degli esordi.

(Jojo Rabbit, di Taika Waititi, 2019, commedia, 108’)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Taika Waititi sceglie un tono di voce unico per raccontare l’infanzia nazista di un bambino solo. Jojo Rabbit è una commedia nera piena di coraggio e momenti di poetica leggerezza.