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Cinema

Ora tocca a noi

Su “Notturno” di Gianfranco Rosi

di Elisa Scaringi / 25 settembre

Gianfranco Rosi torna al cinema con un nuovo documentario, Notturno, il cui titolo rappresenta un’ambientazione (esterna), e lo specchio di stati d’animo (interiori) tutt’altro che luminosi. Quanti significati, infatti, possiamo attribuire alle parole “notte” e “confine”? Al di là delle definizioni prettamente fisiche e geografiche, esistono: le notti dell’anima e gli spiriti notturni, i confini morali e quelli sociali, i nottambuli e gli uomini senza limiti, i tipi che hanno paura di tutto, anche della notte e dei confini. 

Poi, se abbiniamo queste due parole a varie zone del mondo, ne possiamo ottenere un’altra, molto meglio definibile: guerra. Allora, la notte e i confini diventano terreni accidentati, nei quali già muoversi (figuriamoci viverci) è assai pericoloso. Soprattutto per le popolazioni che nulla hanno a che spartire con le lotte di potere: donne, bambini e malati. La vita, che continua a scorrere con gli stessi tempi di un’esistenza normale, non vede le stesse notti e non attraversa gli stessi confini.

Gianfranco Rosi, nel suo Notturno, racconta appunto del tempo scuro vissuto dai civili tra i confini del Medio Oriente, laddove la notte e il giorno non trovano alcuna distinzione, se non nell’alternanza di buio e luce, perché il sole non splende mai nel film: il cielo è sempre una coltre color antracite, che definisce il paesaggio con i toni della tristezza interiore. La quotidianità di un ragazzo che va a pescare col buio, o di un bambino costretto a cercare lavoro ogni giorno sotto nuvoloni grigi e minacciosi, si intreccia con la normalità di uomini e donne che, pur abbracciando un fucile o guidando un carro armato, temono il freddo e soffrono il mal di schiena. Quello che interessa a Rosi non è raccontare la guerra delle battaglie e delle uccisioni, ma cogliere la vita di chi, ogni giorno, si perde con lo sguardo nel notturno dei confini che lo circondano. Non ci sono giudizi ufficiali sugli oppressori o sui vinti, come non esiste uno schieramento evidente a Occidente oppure verso Oriente; i cattivi sono tutti, indistintamente: i dittatori del posto e quelli venuti da fuori, gli americani che colonizzano e l’Isis che tortura i bambini. 

In Notturno Gianfranco Rosi torna a raccontare gli innocenti, che stavolta sono i bambini che lavorano per sfamare i fratelli e i giovani che si ingegnano per trovare da mangiare; i bambini che portano le cicatrici della guerra sulla pelle e i giovani che muoiono lasciando le madri da sole; i bambini che decidono di non tacere le violenze subite e i giovani che intraprendono la fatica di una vita da soldati. 

A tessere le fila della storia di Rosi ci sono i malati di mente, che, sullo sfondo, mettono in scena la tragedia dei confini violati, dei dittatori sostituiti da tiranni peggiori, delle monarchie e delle repubbliche svuotate di senso. In questa recita corale si può scorgere il senso vero di Notturno: altro che America o Medio Oriente, ora “tocca a noi”, civili innocenti, dire la nostra, raccontando al mondo che siamo uomini come tutti gli altri, né migliori né peggiori, solo più dannati perché ingabbiati nei confini dove la notte sembra ancora troppo lunga. E da troppo tempo.

(Notturno, di Gianfranco Rosi, 2020, documentario, 100’)

 

LA CRITICA - VOTO 8/10

Il nuovo documentario di Gianfranco Rosi, Notturno, manca forse di quell’originalità tematica che aveva contraddistinto Sacro GRA. Ma, di certo, merita di essere visto per la delicatezza con cui racconta una storia di guerra, senza mai proporre scene di combattimenti o uccisioni. Un documentario contemplativo, che offre uno sguardo diverso sul significato interiore che possono assumere i confini geografici.