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Libri

L’assedio incantato

“Ada brucia. Storia di un amore minuscolo” di Anja Trevisan

di Emanuela Cocco / 12 gennaio

«Qua è così ogni giorno: a volte gli sembra che ci siano più insetti in casa di quanti ne vivano fuori».

Un giardino, abitato da insetti e da fantasmi, e da bugie, un giardino che è dentro una casa, dove viene piantato un piccolo fiore prezioso, un giardino che è dentro la mente di un ragazzo, è il luogo in cui si svolgono le vicende di Ada brucia. Storia di un amore minuscolo (effequ, 2020) romanzo d’esordio di Anja Trevisan. Qui è dove vive Rino, il protagonista, ragazzo sensibile, incline al pianto, un buono, il più buono di tutti, per la gente del posto, un orologiaio, un falegname, che vive nella casa sprofondata nel verde in cui è vissuto con il nonno, finché lui non è morto, lasciandolo solo.

«Rino annuisce, apre la porta ma non può impedirsi di guardare nella stanza in cui la signora ha appena acceso la luce e lì vedere una culla rosa da cui spunta una manina piccola, bianco candido; e Rino non vede nient’altro, solo una mano minuscola che gli fa per un secondo sobbalzare il cuore».

Questa è la storia di Rino, il bel ragazzo imprendibile e schivo, mai toccato dall’amore ed è anche la storia di Beatrice, una bambina di pochi mesi che viene rapita, il piccolo fiore che lui recide, strappandola alla sua famiglia, per portarla via con sé e farla crescere nel giardino mentale che è la sua casa, dove lei metterà radici e cambierà nome per diventare Ada, un amore che lui coltiverà nel più completo segreto, lontano da tutti gli altri, un amore costruito su misura.

Ada, così piccola e inerme tra le mani di Rino, è un fiore cresciuto nella serra da lui costruita per proteggerla da tutto, tranne dai suoi desideri e dal suo amore rapace e sbagliato, che lui racconta a sé stesso essere giusto.

Questo l’intreccio, ma un romanzo, lo sappiamo, non è la sua storia e il romanzo di Trevisan , anche se tratta di pedofilia e ossessione, anche se l’autrice stessa cita trai suoi riferimenti, Lolita, non può essere paragonato al romanzo di Nabokov, senza rischiare fraintendimenti di quello che è il testo, non tanto nelle intenzioni dell’autrice, ma nella sua resa finale, come opera compiuta, che trascende l’immaginario che l’ha generata. Tralasciando altri elementi che segnano questa distanza incolmabile, non siamo qui, come nel romanzo di Nabokov, in un racconto dell’orrore, dove un uomo, innamorato, disincantato e fin troppo consapevole delle sue brame, utilizza il racconto come una fantasia che ha lo scopo di eternare l’amata morta e di evocare il suo fantasma del desiderio.

Ada Brucia, è, invece, la storia di un assedio causato da un incantesimo, e il suo protagonista, Rino, che del resto manterrà le redini della storia solo fino a metà romanzo, per poi passare il testimone alla voce narrante, in terza persona immersa, di Ada stessa, è un personaggio completamente stupefatto, intinto nella sua favola oscura, occupato a raccogliere segni che giustifichino le sue pulsioni, che sembra vagare nella storia come intrappolato in un sogno d’amore da cui sono esclusi dilemmi morali e senso della realtà.

«La sua voce, così piccola e innocente e pura, piccola voce che ha sentito solo lui, che consente solo a lui di ascoltare e che non vuole essere sentita da nessun altro. Solo lui. In tutto il mondo».

Questo incantesimo d’amore, in realtà è un assedio disturbante, che si fonda, proprio come nel film Dogtooth di Yorgos Lanthimos, su una bugia oppressiva, attirerà nella sua malia Ada, che da semplice oggetto d’amore prenderà, nella seconda parte del romanzo, le redini della storia trascinandola verso un epilogo inatteso ma coerente con il mondo creato dall’autrice.

Un pervasivo senso di minaccia, una tensione resa ancora più singolare, per contrasto, dall’ambientazione fiabesca in cui è immerso il resoconto delle azioni del protagonista, anima la prima parte del romanzo per poi calare nel momento in cui la voce narrante, che fino a quel momento ci aveva restituito principalmente le sensazioni e i pensieri di Rino, cede la parola ad Ada, che diventa il punto di vista privilegiato da cui osservare il dispiegarsi della storia, che copre l’arco temporale di trent’anni nella vita dei protagonisti.

Proprio in questo passaggio di consegne mi sembra di cogliere un limite del romanzo, perché mentre l’immersione nella mente di Rino riusciva a toccare argomenti e situazioni capaci di alimentare la sottotrama angosciante, il cuore pulsante del libro, traghettandola in una dimensione in bilico tra la favola e il racconto raccapricciante, questo statuto del racconto in parte si perde nel passaggio a una narrazione più neutra, che presenta i fatti e il loro susseguirsi all’interno della trama come allontanandosi dalla mente dei protagonisti.

Nella seconda parte del romanzo Rino viene spesso lasciato fuori, per offrirci in cambio delle incursioni nel sistema di credenze, desideri e paure attorno al quale si è costituita l’identità di Ada, ormai divenuta la vera protagonista dell’azione. Non appena usciamo dalla casa incantata questo sortilegio inizia a disperdersi, a perdere parte della forza di impatto con il quale noi lettori siamo stati sedotti al principio della storia.

«Ada non disse nulla: era abituata, e accettò subito che una cosa così bella dovesse per forza fare anche male, in un modo o nell’altro. Strinse le braccia attorno al collo di Bapu e continuò a guardare il mondo fuori finché la porta non si chiuse, di nuovo, a chiave».

La storia, piena di lacrime, insetti, corpi che si sfiorano nel buio e personaggi che non vogliono vedere la realtà in cui sono immersi, è sostenuta dal nitore di uno stile che lascia emergere, senza travolgerli, dettagli di immagini che colpiscono e restano nella memoria del lettore, a testimoniare la percezione frammentata del desiderio, che si nutre di parti irrelate di un intero che forse non conosceremo mai: una mano che emerge da una culla, un fiore stropicciato, capelli dorati in un assolato giardino ricolmo di fiori.

Un romanzo, quello della Trevisan, che conferma l’attenzione di effequ per scritture curate e storie mai banali, una scrittura spesso capace di rivelare con misurati tocchi sensibili il mistero dei destini individuali di due personaggi dalle motivazioni indecifrabili, che non lascia indifferenti con la sua messa in scena di un sogno mostruoso, che appare un disgustoso incubo solo a chi non vi è rimasto impigliato dentro.

(Anja Trevisan, Ada brucia. Storia di un amore minuscolo, effequ, 2020, pp. 304, euro 15, articolo di Emanuela Cocco)