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Libri

Natura e cultura, un cambio di prospettiva

“E avvertirono il cielo” di Carlo Sini e Telmo Pievani

di Giordano Ghirelli / 21 gennaio

La necessità di ripristinare un dialogo tra le «scienze della natura» e le «scienze dello spirito», per riprendere una nota distinzione di Wilhelm Dilthey, è senza dubbio tra i problemi più assillanti del nostro tempo, e il dibattito pubblico sulla gestione del Covid-19 ne ha data un’ulteriore conferma. Se da un lato coloro che una volta si sarebbero definiti “gli intellettuali” non ottemperano più alla funzione di mediatori tra ricerca scientifica e società civile, nel nome di una presunta autonomia degli studi umanistici che di fatto li confina al godimento “estetico”, dall’altro cresce il numero degli scienziati che non si perita di sostituirli in questo ruolo, senza però disporre di una formazione storica e filosofica. E ignorando di conseguenza i presupposti ontologici e culturali che, spesso implicitamente e inconsapevolmente, guidano la loro stessa ricerca scientifica.

L’autorità degli uni e gli altri appare così irrimediabilmente compromessa, e la sensazione diffusa di un’inarrestabile frammentazione del sapere, come sempre, finisce per favorire chi alza i toni sventolando soluzioni facili e di breve respiro. Sotto questo profilo E avvertirono il cielo. La nascita della cultura (Jaca Book, 2020) è un libro in controtendenza, e ciò basterebbe a consigliarne la lettura. Carlo Sini, maestro del pensiero teoretico, e Telmo Pievani, detentore della prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche, intavolano una conversazione a piede libero intorno a una domanda apparentemente avulsa dalle esigenze del presente, ma che proprio alla luce della pandemia è tornata a svelare la sua inquietante: qual è il confine tra natura e cultura? Che cosa ci dicono al riguardo la scienza evoluzionistica e la paleoantropologia? In breve: quid est homo?

Non è certo la prima volta che insigni esponenti delle cosiddette “due culture” si confrontano sull’argomento (basti ricordare il celebre dibattito Chomsky-Foucault tenutosi a Eindhoven nel 1971), ma ciò che stupisce qui, a dispetto della diversa formazione degli interlocutori, è lo spirito di apertura che anima il loro dialogo, ancor più sorprendente se si tiene conto delle circostanze in cui esso è sorto: l’università italiana, dove notoriamente vale per l’interdisciplinarità ciò che Metastasio diceva dell’araba fenice: «Che vi sia ciascun lo dice / dove sia nessun lo sa». Per di più, il confronto risale al primo lockdown di marzo-aprile, che da questo punto di vista non ha fatto che peggiorare le cose, riserrando gli “esperti” all’interno dei limiti spirituali dei propri saperi non meno che nei confini naturali delle proprie abitazioni, gli uni e gli altri enfatizzati dalla pandemia.

Senza nascondersi i problemi, Sini e Pievani infrangono gli steccati disciplinari per andare alla ricerca di una base comune su cui scienza e filosofia possano tornare a dialogare, a sentire cioè, socraticamente, ciascuna i problemi dell’altra come propri. Troppo grandi e complesse sono infatti le sfide che si profilano all’orizzonte perché l’una possa illudersi di poter fare a meno dell’altra. Troppo profonda ormai la loro frattura, perché una sola delle due possa pensare di porvi rimedio. A partire da questa consapevolezza sorge la domanda che dà l’abbrivio alla conversazione, e cioè, nei termini di Sini, «se sia possibile delineare un sapere non semplicemente (ovviamente, che sia semplice… si fa per dire!) interdisciplinare, ma in qualche modo, transdisciplinare, capace di movenze integrative dei saperi, delle loro “pratiche” e dei modelli di formazione che potrebbero forse derivarne». Per riuscirci, secondo Sini, occorre prima sgombrare il campo da alcuni aspetti duri a morire del senso comune scientifico e filosofico: anzitutto l’idea che ci si possa riferire a una realtà in sé e per sé sussistente, “là fuori”, che le varie teorie avrebbero il compito di “descrivere”, e prendere coscienza del carattere giocoforza “metaforico”, relativo e storicamente situato di ogni espressione umana. Perché, come ha intuito lo stesso Darwin, «l’universo non è statico, non è già fatto e finito e nemmeno noi, appunto, lo siamo».

Pievani raccoglie la sfida, adducendo numerosi esempi che, partendo dal suo campo di studi, l’evoluzionismo, sembrano corroborare l’impostazione di Sini. Proprio la storia dell’evoluzione umana ci insegna infatti che «l’organismo cambia il mondo con le sue attività e il mondo così trasformato retroagisce selettivamente sull’organismo, che si adatta a un ambiente da esso stesso modificato e interpretato, in un gioco ricorsivo e senza fine». Allora, «non è come al solito, prima la biologia, ma il contrario, in un continuo gioco ricorsivo tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale che rompe il vecchio schema che abbiamo letto mille volte sui libri di etologia: prima viene l’evoluzione biologica, poi siamo diventati culturali. Noi siamo biologici attraverso la nostra evoluzione culturale e siamo culturali grazie alle nostre potenzialità biologiche».

Per Sini questo presupposto impone un cambio di prospettiva: le competenze relative all’organizzazione sociale, alla previsione e alla pianificazione non si “trovano” in determinate zone cerebrali, come ancora qualche uomo di scienza si arrischia a dire; è piuttosto l’utilizzo stesso di certe tecnologie e non altre a «scolpire» (la metafora è di Pievani) diversamente il corpo vivente. Assumere questo punto di vista consente allora di «osservare che quindi la cultura non è l’effetto diretto, lineare, uniforme, meccanico di quelle che consideriamo le condizioni puramente naturali o biologiche dell’esistenza», evitando  «la duplice superstizione dello spiritualismo e del riduzionismo».

«La faccenda», prosegue Sini, «è infatti più complessa e richiede, a mio avviso, una collaborazione tra scienziati e filosofi, un dialogo senza pregiudizi e difese narcisistiche». Pievani concorda, sottolineando in conclusione che sui temi dibattuti nel corso della discussione «il paesaggio scientifico sta cambiando e si aprono nuove possibili connessioni con la filosofia». Senza dubbio, almeno per quanto concerne il nostro paese, E avvertirono il cielo fornisce un contributo significativo in questa direzione.

 

(Carlo Sini e Telmo Pievani, E avvertirono il cielo. La nascita della cultura, Jaca Book, 2020, pp. 96, euro 16, articolo di Giordano Ghirelli)