Flanerí

Musica

Gazzelle prigioniero di Gazzelle

Il nuovo album di Flavio Pardini

di Luigi Ippoliti / 17 febbraio

Siamo al terzo album in quattro anni. Dall’esordio con Superbattito, passando per Punk, oggi arriviamo a Ok. In mezzo ci mettiamo pure una raccolta di poesie, Limbo, e ci rendiamo conto che Gazzelle ha sempre avuto qualcosa da fare ultimamente. Forse troppo.

Avrebbe potuto scrivere un album invece di scriverne tre. Ne avrebbe giovato la qualità generale. Sarebbe stato anche un esercizio di pazienza per riflettere sulla costruzione di un linguaggio diverso da quello piuttosto banale a cui ci sottopone. È chiaro che dietro alla scelta di una produzione così serrata ci siano logiche di mercato che stanno fuori da quelle prettamente artistiche. E che è meglio spremere fino all’osso gli artisti per cavare il maggior profitto fino a che è possibile.

Perché per quanto si possa avere l’impressione che sia un cantautore furbo, che scriva quello che ci si aspetta che scriva, materia simil boyband, attraverso un linguaggio verso il basso, allo stesso tempo la sua capacità comunicativa sarebbe potuta essere declinata in altro modo.  Non c’è una frase, un’idea, una pausa, una chitarra o una batteria che non stia precisamente dove ci si aspetta che stia. «Era bellissimissimissimissimissimo», detta in quel modo, come se lo dicesse via messaggio Whatsapp in maniera smaccatamente ruffiana, raggruppa ciò che Gazzelle rappresenta e deve rappresentare. Gazzelle prigioniero del personaggio Gazzelle.

Il singolo che traina l’album è “Destri“. Un buon pezzo pop con richiami ai Travis – al netto comunque di un testo piuttosto mediocre – con un ritornello funzionale e che pare paradossalmente non troppo dentro a certe logiche alla Gazzelle. C’è poi soprattutto “Lacri-ma“, che pare una canzone alla Giorgio Poi che si è ripreso da un viaggio lisergico, dove emerge quello di cui si parlava sopra, Gazzelle come occasione mancata: su questa linea avrebbe potuto (o potrebbe, è ancora giovane) far viaggiare la sua carriera. Qui Gazzelle fa altro da quello che ci si aspetta da Gazzelle, e il risultato è nettamente superiore al resto.

L’immaginario di Ok è quello che da Cremonini (le Winston spezzate) passa per Calcutta. Non si scappa. C’è anche spazio per tentativi di Paradisizzazione (“Scusa“, ma anche “Un po’ come noi“, con addirittura delle deviazioni pseudo Beatles) come in Punk, ma come allora il tentativo è un po’ un buco nell’acqua.

Ascoltando Gazzelle al terzo tentativo, non si stacca di dosso la sensazione pulsante di trovarsi di fronte a un epigono del cantautore di Latina che non riesce a staccarsi dal un cordone ombelicale che ha le sembianze sinistre di un cappio. Una semplificazione di Calcutta. E più che Cremonini, poi, il risultato sono gli Zero Assoluto.

L’andazzo di tutto l’album è sempre quello a cui Gazzelle ci ha abituati. Un romanticismo spicciolo, dozzinale. Un immaginario piuttosto piatto («Ma è sempre così / Ad annegare / Come un’oliva nel gin / Going back to routine / fa così male», “GBTR“; «Però che bello è quando ti giri / Mi fai vedere bene che vestito hai / Però che brutto è quando ti sposti / Mi fai capire che non te lo toglierai / Però mannaggia oh», “Però“). Solo che ora abbiamo due episodi alle sue spalle per contestualizzare e capire di più.

Qualsiasi sia il livello dell’itpop oggi, poi, Gazzelle in questo momento pare abbia deciso di affondarlo definitivamente. Un gioco al ribasso che è un po’ la morte di un sottogenere da qualche tempo agonizzante sotto i colpi della trap, nonostante i numeri ancora importanti per esempio di “Destri“, arrivato a 35 milioni di ascolti solo su Spotify.

Sarà interessante capire cosa sarà di Pardini in futuro, ma il featuring con tha Supreme in “Coltellata” potrebbe suggerirci qualcosa.

LA CRITICA - VOTO 5/10

Con “Ok” Gazzelle non riesce a fare il salto di qualità. Un album piuttosto piatto in cui l’artista romano continua, salvo rare eccezione, a produrre brani eccessivamente ruffiani.