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Libri

Una nuova frontiera tra distopia e femminismo

“Le portatrici” di Jessica Schiefauer

di Cristina Cassese / 13 giugno

«La verità è una questione dell’immaginazione», scriveva Ursula K. Le Guin nell’introduzione al suo capolavoro, La mano sinistra del buio, romanzo capostipite della narrativa distopica femminista che, soprattutto grazie a Margaret Atwood, ha raggiunto ormai il grande pubblico. Il corpo femminile, e in particolare il suo potenziale biologico riproduttivo, è uno dei temi attorno a cui ruotano buona parte dei romanzi ascrivibili al genere.

Negli ultimi anni, autrici come Christina Dalcher, Leni Zumas e Sophie Mackintosh hanno raccolto il testimone di Atwood esplorando le possibili deviazioni dalla maternità comunemente intesa attraverso storie ambientate in un futuro non troppo distante dal nostro presente. Romanzi come Orologi rossi o Biglietto blu raccontano, infatti, di società simili a Gilead, in cui i corpi delle donne sono stati definitivamente ridotti alla loro mera funzione biologica e le cui protagoniste, in modo più o meno consapevole, si ribellano al sistema.

Pur incentrandosi sullo stesso argomento, Le portatrici di Jessica Schiefauer (Fandango Libri, 2022) rovescia completamente la prospettiva, descrivendo un mondo in cui sono le donne a controllare e pianificare non solo la loro capacità riproduttiva ma qualsiasi altra forma di potere. Con questo romanzo, l’autrice svedese riesce nell’ardua impresa dell’intersezionalità traslando in forma narrativa i grandi problemi del nostro tempo: dal cambiamento climatico alle questioni inerenti al lavoro e alla giustizia sociale, dall’invecchiamento demografico all’antispecismo.

L’incipit è talmente attuale che risulterebbe persino ridondante se non sapessimo che il romanzo è stato scritto nel decennio precedente allo scoppio della pandemia da Coronavirus: il testo che avvia l’opera, infatti, è un immaginario Trattato dei Continenti Uniti da cui si evince che, a seguito della diffusione di un morbo letale, l’umanità è stata separata. Maschi da una parte e femmine dall’altra. Gli uomini, chiamati diffusori, vivono in una sorta di quarantena perenne, nell’attesa che venga scoperta una cura: sono loro a trasmettere la malattia. Le donne, indicate come portatrici, hanno nel frattempo ridisegnato confini e giurisdizioni, plasmando una società apparentemente più equa, tollerante e sostenibile.

Nikki, la protagonista del romanzo, vive a Irisburg, nel continente scandinavo, serena e pienamente soddisfatta della sua vita così com’è; la sua compagna Simone, al contrario, è sempre più inquieta: vorrebbe avere una bambina ma i tentativi di fecondazione non vanno a buon fine. Il suo desiderio diventa sempre più ossessivo al punto che Nikki, per amore, certo, ma forse anche per esasperazione o per timore che l’idillio sentimentale svanisca per sempre, si offre come portatrice al suo posto, senza immaginare quanto e come questa esperienza si rivelerà sovversiva e rivoluzionaria.

La gravidanza consentirà a Nikki di riscoprire il suo corpo e di rimetterlo letteralmente al mondo; l’incontro con un personaggio misterioso e indefinibile le permetterà, infine, di comprendere un po’ alla volta e a caro prezzo quanto ogni esistenza umana sia inevitabilmente correlata a tutte le altre.

Schiefauer costruisce un crescendo di peripezie che consentono alla sua protagonista di interrogarsi sulle dinamiche relazionali tipiche della nostra specie, in un caleidoscopio di emozioni, istinti e ragionamenti in cui natura e cultura si intrecciano di continuo. L’idea stessa di famiglia, di genitorialità, di legame di sangue viene rovesciata e ridefinita grazie alle molteplici sottotrame che convergono, l’una dopo l’altra, nel medesimo filone narrativo.

La lettura scorre senza intoppi nonostante il mondo immaginato dall’autrice sia molto diverso da quello reale. Non si fa alcuna fatica a visualizzare i kondo in cui i personaggi vivono né a raffigurarsi lo schermolibro che usano per annotare i loro pensieri, per votare, per connettersi. Merito della lucidità che caratterizza la scrittura di Schiefauer ma anche del lavoro di traduzione di Samanta K. Milton Knowles, che restituisce tutta la chiarezza espositiva e mai didascalica del testo originale, attraverso un lavoro premuroso con le parole inventate dalla scrittrice per indicare ciò che non trova alcun corrispettivo nella realtà attuale.

Il gioco immaginifico della fantascienza letteraria è l’espediente che consente all’autrice di mettere in luce la verità riguardo al potere che è sempre, ontologicamente, asimmetrico. Le portatrici è un romanzo che indaga le paure ancestrali per eccellenza degli esseri umani, quella della malattia e quella della morte: il controllo della fecondità diventa, perciò, l’equivalente contraltare posto in essere nel tentativo – vano, talvolta folle – di sottrarci alla nostra ineluttabile finitezza. Affrancarsi del tutto da un’angoscia così istintiva e radicata è probabilmente impossibile, ma a questo servono le ninne nanne, che nel romanzo hanno una certa importanza: a lenire l’inquietudine per scivolare dolcemente in quella dimensione misteriosa e indispensabile chiamata sonno.

 

(Jessica Schiefauer, Le portatrici, trad. di Samanta K. Milton Knowles, Fandango Libri, 2022, 352 pp., euro 22, articolo di Cristina Cassese)