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Libri

“State scherzando, vero?” di Macale, Appetito, De Cave

di Alessio Belli / 17 luglio

No, non stanno scherzando. Fanno sul serio. Tre giovani poeti – e non solo – uniscono i loro versi in un unico libro. All’appello abbiamo: Mariano Macale, Fabio Appetito, Marco De Cave. Ognuno le sue caratteristiche, le peculiarità, le differenze dall’altro. Comunque uniti nella stessa battaglia: Macale con “Voglio una poesia spericolata”, Appetito con “Ci sono cose che devono accadere prima di far accadere le cose” e De Cave con “Nemmeno ce ne siamo accorti che siamo cambiati quando ce ne siamo accorti”.
Davvero non scherzano; fanno sul serio. Ad accomunarli la speranza e la fiducia – spesso ben mascherata nel pessimismo – di puntare ancora una volta sulla poesia. La volontà di allineare gli intenti in un altro piccolo ma prezioso spiraglio d’arte. Il tutto condito con quel goccio di follia che non guasta mai e rende le circostanze uniche. Nel leggere le loro biografie, il tratto peculiare da sottolineare è il loro attivismo; chi in reading, chi in blog, chi in racconti, chi nel sociale, chi tutte queste cose insieme. E non è un particolare da poco; hanno capito che la poesia e la vita sono la stessa cosa, che la poesia è un impegno, una missione a cui devi per forza concedere tempo e scelte. Il tempo giusto, forse, è questo 2012, anno dell’uscita della loro silloge.
Leggendo i versi di Macale si fanno subito i conti con un contrasto forte, una commistione ardua e ben calibrata. Quella tra la forza del presente e quella del passato. Classicità e contemporaneità duettano già dal titolo dall’eco rock nostrano, per poi esplodere nell’“Ode al burro d’arachidi”. Nella poesia che dà il titolo alla raccolta, appaiono elencate e scolpite nel marmo delle parole le illusione tradite dell’autore. E non solo le sue. Lo scacco umano e artistico s’alterna all’ironia fresca di altri versi, specie nella “Ricetta degli amanti”, dove il tema amoroso viene trattato in maniera originale e – fortunatamente – non banale. Pochi poeti ci riescono. “Voglio una poesia spericolata” è una gustosa satura lanx moderna, con sfumature quasi pulp (basti leggere il distico finale). Appetito è più un valorizzatore di piccole cose. Gli basta poco per tirare fuori dal suo vagabondaggio bukowskiano versi capaci di raccontare anche la fanciullesca bellezza di un aquilone. È il più contemporaneo nella forma, più prosastico e meno fedele agli schemi rispetto agli altri due colleghi, legati sì all’impostazione metrica ma pur sempre liberi di infrangerla. In un’atmosfera melanconica ad apparire per prima è la mancanza, o almeno la mancata corrispondenza con un tu femminile: “Dove sono finiti i tuoi baci”è tra i componimenti più significativi. Notevole la rivisitazione del Credo nella poesia 17 e l’auto confessione poetica due pagine dopo. Ai suoi versi, anonimi e numerati, segue la possente staticità di De Cave. Porti e città si alternano, ma il poeta è immobile e vigile nel narrarne l’essenza e nel ricavarne il messaggio comunicativo. I titoli, come molti versi, sono secchi, scarni, essenziali, su echi che ricordano il primo Montale. A rimanere impressa è la parola, il suo culto, la potenza, come nelle poesie popolate da “Sirene” e nelle bellissime “Ospedale”, “Isolato” e “Distacco”. Tra gli oceani, gli scioperi e le nevicate che popolano “Nemmeno ce ne siamo accorti che siamo cambiati quando ce ne siamo accorti” domina sempre l’occhio attento del giovane poeta, punto di riferimento assoluto nel tragitto umano.
Come avrete potuto rapidamente dedurre, questi autori sanno il fatto loro. Certo, è un opera prima, che in quanto tale non manca di lievi imperfezioni e ridondanze, ma di cui va colto ogni verso, onesto e sincero. Poiché tutto in poesia, nel bene e nel male, è vita. Ed è così che nasce l’Arte.

 

(Macale, Appetito, De Cave, State scherzando, vero?, Edizioni Ensemble, 2012, pp. 116, euro 12)