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“Poesie del Mississippi” di William Faulkner

di Sergio Baiocchi / 25 luglio

«Sono dell’opinione che in principio ogni scrittore voglia essere poeta. Quando scopre di non saper scrivere poesia di prim’ordine – e la poesia deve essere di prim’ordine – di gradazioni non ne esistono… allora tenta con i racconti, che sono il secondo genere più arduo. Quando fallisce con i racconti, viene il momento del romanzo. Vale a dire che cerca di esprimere la tragedia e la passione dell’esperienza, della vita, con quattordici parole. Se non va, ci ritenta con duemila parola. Se fallisce di nuovo, gliene serviranno centomila».

Le parole di William Faulkner, riportate fedelmente da Vanni Bianconi nella nota del traduttore posta nelle pagine finali di Poesie del Mississippi (Transeuropa, 2012) costituiscono il preambolo necessario per comprendere fino in fondo il senso di questa preziosa raccolta, oltre che la concezione chiara e delineata che il grande autore americano aveva della scrittura. Le ventotto poesie incluse in questo volumetto sono, infatti, da considerarsi degli assaggi in versi, dei frammenti in rima di quella che sarà la solida opera narrativa del romanziere americano. Così circoscritti tra un naturalismo classicheggiante e un simbolismo decadente questi componimenti furono scritti da Faulkner nel biennio 1924-25 – interessante notare che proprio al 1925 risalgono le prime bozze del romanzo The Soldier’s Pay – e fanno parte di due sezioni diverse (Mississippi Poems e Helen: a Courtship), pubblicate insieme per la prima volta solo nel 1981

È un Faulkner vivo quello che scorre in questi versi, un giovane poco più che ventenne con la smania per la scrittura che arde d’amore e si danna non essendo corrisposto, che attinge dalla sua educazione attenta per sprigionare energia in simboli e figure altrettanto vive e ardenti: «Ave O Beltà! Esclama Elena, che saprebbe / resistere alla foga del Centauro, lei che anela / su un’isola di quiete oltre al suo tumulto / a una bellezza fissa e vera, ma scorda che il sogno / sfiorisce se lo tocchi, e che i rimpianti / acquistano solo una cosa certa: l’indubbio sonno». Inconfondibili risultano le tracce dell’impeto, del furore che caratterizzeranno i suoi romanzi:«Un figlio della terra era, e fu tutto / suo il sogno del suo cuore, fosse stato saggio, / da nutrire con gli occhi di luce e di spazio, / ma col dono delle lingue maledetto». Quando addirittura non semina citazioni raffinate:evidente il richiamo a The Waste Land di T.S. Eliot nel verso «il crudele aprile è figliato da una valle formosa,».

Se a un romanziere, dunque, occorre passare per la poesia e per il racconto prima di giungere al romanzo, allo stesso modo, per un lettore acuto sarà interessante riscoprire Faulkner partendo dai suoi esordi poetici, abbandonandosi ai suoi versi, che per quanto possano risultare, a tratti, acerbi o ingenui, sapranno certamente richiamare alla mente di chi legge alcuni di quei topoi che hanno reso celebre lo scrittore americano, premio Nobel per la letteratura nel 1949, e memorabili le sue pagine.


(William Faulkner, Poesie del Mississippi, trad. di Vanni Bianconi, Transeuropa, 2012, pp. 80, euro 9,90)